Si è chiuso con sei condanne il processo per la rissa scoppiata, nel settembre di quattro anni fa, tra due fazioni di detenuti nordafricani del penitenziario di Cuneo.
A provocare il parapiglia in sala comune, con il danneggiamento di sedie e tavoli che i reclusi utilizzarono per aggredirsi a vicenda, sarebbe stata una contesa sulla spartizione di pochi soldi: quelli che la famiglia di uno dei carcerati aveva inviato al proprio congiunto. I sei principali artefici della rissa vennero posti in isolamento. Da qui, tuttavia, avevano messo in scena una protesta devastando le proprie celle e gettando in corridoio i cocci delle suppellettili divelte. Uno di loro, ha raccontato un sorvegliante, aveva addirittura staccato le luci al neon dalla plafoniera sul soffitto, mangiando i vetri in frantumi.
Un certo B.H., si è appreso, era “colpevole” agli occhi di alcuni compagni di prigionia di aver trattenuto per sé il denaro che i familiari gli avevano fatto recapitare. Non sarebbe stato però lui il primo ad essere aggredito, ha spiegato l’ispettore Viviani della Polizia Penitenziaria: “Nei filmati si vede un detenuto, H.J., accostarsi al connazionale A.A. con l’intento apparente di parlare. Poco dopo gli aveva fatto uno sgambetto e aveva incominciato a prenderlo a calci”. A soccorrere l’aggredito erano subito intervenuti due dei presenti, mentre altri due - tra cui appunto B.H. - erano accorsi a dar manforte a chi aveva innescato il confronto fisico. L’occasione avrebbe offerto quindi il pretesto per “regolare i conti” con lui.
Nel pomeriggio del giorno successivo erano scoppiate le proteste nel reparto di isolamento, protrattesi fino a tarda serata: soprattutto tre dei detenuti in punizione, ha riferito una guardia, avevano dato in escandescenze devastando ciò che trovavano “perché affermavano di non aver fatto nulla e di patire il freddo”. H.J., l’iniziatore della rissa, avrebbe a quel punto ingoiato i cocci di vetro del neon finché - contro la sua volontà - era stato scortato al Pronto soccorso dell’ospedale Santa Croce. “Un collega mi ha riferito che aveva minacciato sia la scorta che il personale medico, leggendo ad alta voce i loro nomi sui cartellini. Chiedeva di essere portato da un ispettore di polizia che conosceva per denunciarli” ha detto uno dei testi.
Per il solo reato di danneggiamento, in mancanza di querela, il pubblico ministero ha chiesto il non luogo a procedere. La pena più alta è quella comminata a H.J., con il riconoscimento della recidiva specifica: un anno e un mese per rissa e resistenza a pubblico ufficiale. Per rissa sono stati condannati a una multa di 300 euro anche quattro coimputati, ridotta per il solo A.A. a 200 euro.