Uno sparo in pieno giorno e un piccione che crolla al suolo nella centralissima piazza Garibaldi, a pochi passi dal Municipio di Boves. Su questi elementi si basavano le accuse per i reati di
uccisione di animale e spari in luogo pubblico a carico di I.G., classe 1938, conosciuto in paese come provetto cacciatore.
Il 28 agosto 2018 la titolare di un bar nelle immediate vicinanze lo aveva notato uscire, pochi minuti dopo lo sparo, e raccogliere la carcassa del povero volatile: “Ho visto il piccione cadere e le macchie di sangue al centro della carreggiata” ha riferito davanti al giudice, confermando quanto dichiarato ai Carabinieri.
Le forze dell’ordine avevano trovato l’anziano cacciatore nel cortile della sua abitazione, situata proprio davanti al luogo del misfatto. Dopo qualche insistenza l’uomo aveva mostrato sia il piccione morto che il fucile con il quale sarebbe stato esploso il proiettile. L’arma, regolarmente detenuta, era conservata in una custodia e su di essa non sono stati effettuati accertamenti da parte degli investigatori.
Proprio su questa circostanza si è soffermato il difensore di I.G., nonché sindaco di Boves in carica, l’avvocato Maurizio Paoletti: “Nessuno lo ha visto nell’atto di sparare dalla finestra e non sono state fatte verifiche sul fucile per capire se fosse davvero quella l’arma che ha sparato. Ammesso e non concesso, l’imputato non era l’unica persona presente in casa in quel momento: con lui c’era la moglie”.
Per il pubblico ministero Raffaele Delpui, al contrario, la testimonianza della barista è sufficiente a escludere altre opzioni: “Anche le tracce di sangue, ben visibili sulla strada, portano a ricondurre la morte dell’animale allo sparo udito pochi istanti prima”. Il rappresentante della Procura ha evidenziato soprattutto i rischi potenziali dell’atto: “Sparando dalla finestra c’era il rischio, specie per una persona di quell’età, di colpire persone o auto di passaggio anziché il piccione”. Tenuto conto dell’incensuratezza, il pm ha chiesto una pena di tre mesi e quindici giorni.
Il giudice Francesco Barbaro ha infine riconosciuto colpevole I.G. e lo ha condannato a tre mesi di reclusione, con pena sospesa e non menzione nel casellario giudiziale.