Può una normale padella da cucina rappresentare un’“arma impropria”? Parrà strano, ma attorno alla questione si è pronunciata più volte, in senso favorevole, perfino la Corte Costituzionale. Dinnanzi al tribunale di Cuneo si discute però di un caso diverso dalle consuete liti coniugali finite a padellate. L’utensile, in questo caso, sarebbe stato adoperato a scopo intimidatorio.
Ne è convinta la Procura, che ha chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio di R.C., classe 1977, originario di Cagliari e residente a Roccavione. Nel marzo 2021 i carabinieri di Borgo San Dalmazzo l’avevano denunciato per minaccia aggravata e porto d’arma impropria dopo averlo incrociato per caso, durante un pattugliamento nel paese della val Vermenagna. In via Timo Aime, nei pressi di un bar, il soggetto aveva attirato l’attenzione dei militari appunto perché si aggirava con una padella in mano: “Era agitato e ci ha fermati, dicendo che era in attesa di un’altra persona che sarebbe arrivata da Borgo” ha spiegato in udienza il maresciallo Pisani, precisando che entrambi i protagonisti della vicenda erano già noti alle forze dell’ordine.
R.C. accusava il suo conoscente di avergli rubato due biciclette a distanza di pochi giorni: “In sostanza gli aveva sottratto una bici, poi gliel’aveva riportata e gliene aveva sottratta un’altra nella stessa occasione”. La padella, stando a quanto riferito dall’uomo, sarebbe dovuta servire per difendersi da eventuali aggressioni dell’altro. I carabinieri avevano intimato a R.C. di tornare a casa, assicurandogli che si sarebbero preoccupati loro di rintracciare la persona con cui aveva appuntamento: “È stato poi ritrovato - ha aggiunto il maresciallo - presso l’abitazione di R.C., con una mountain bike grigia. È emerso che la bici rubata non era quella. Di fronte a noi i due, tenuti a distanza, si sono ingiuriati a vicenda”.
Il destinatario delle presunte minacce è stato sentito stamane in tribunale. Si tratta di un 38enne di Roccavione, residente a Borgo e oggi detenuto. Il testimone ha confermato di aver ricevuto dall’imputato diversi messaggi nei quali R.C. gli dava del ladro e affermava che lo avrebbe “spaccato in due”: “Non ero intimorito, ma arrabbiato. Per messaggio mi aveva invitato più volte a recarmi al bar, quando l’ho visto gli altri avventori mi hanno convinto a lasciar stare”. In merito alla presenza dell’“arma” ha detto: “Ho visto che aveva una padella in mano, ma non so cosa ci volesse fare. Ero a una trentina di metri e non ho avuto la possibilità di avvicinarmi”.
Il prossimo 21 marzo il giudice ascolterà la versione dell’imputato, prima di concludere l’istruttoria.