È toccato al giudice penale dirimere la controversia che ha portato un carabiniere sul banco degli imputati, dopo la denuncia a suo carico formulata dal comandante della compagnia di Cuneo.
G.S., classe 1985, doveva rispondere del reato di falso ideologico commesso da pubblico ufficiale e di un’infrazione al codice militare relativa alla violazione di consegna. I fatti per cui è finito a processo risalgono al 2008, nel periodo in cui il militare era in servizio da diversi anni presso la caserma di Busca con il grado di appuntato. La denuncia contro di lui era partita dopo la segnalazione di un collega di pattuglia al comando di stazione, all’epoca retta dal maresciallo Gavino Passerò.
A G.S. si contestava di aver indicato come già svolto, nel suo ordine di servizio, un controllo domiciliare in realtà mai effettuato. All’interno della stazione l’appuntato si occupava in particolare dei fascicoli relativi ai possessori di armi. Il controllo che avrebbe dovuto effettuare riguardava proprio uno di loro, un buschese che aveva presentato ai carabinieri la richiesta di autorizzazione per poter detenere alcune armi di proprietà del padre, ormai defunto. G.S. ha in seguito dichiarato di non aver effettuato il controllo domiciliare presso quest’ultimo perché sapeva dell’avvenuto decesso: nemmeno il fascicolo di suo figlio, però, risultava completo. Per questo il carabiniere era stato denunciato e trasferito ad altra sede: a suo carico è stato avviato anche un procedimento disciplinare interno.
Sentito dal giudice, l’imputato ha dichiarato di aver fornito chiarimenti sia al collega che ai comandanti. Per il procuratore aggiunto Gabriella Viglione, però, queste spiegazioni non sono sufficienti: “I controlli sulle armi vanno effettuati necessariamente sul posto: bisogna controllare che le armi detenute siano davvero quelle oggetto di denuncia e verificare se sono custodite in modo corretto”. Nel caso di specie, ha aggiunto il pubblico ministero, avrebbe dovuto allarmare il fatto che il figlio del legittimo possessore avesse dichiarato di avere a sua disposizione cinque armi, mentre il padre ne aveva denunciate sei: “Nell’annotazione non si menziona il fatto che il proprietario fosse morto né che non si fosse effettuato il controllo in casa sua perché si sapeva dell’avvenuto decesso: comunque la si voglia considerare c’è un falso”. Per questo l’accusa aveva chiesto una condanna a un anno di reclusione.
La difesa, rappresentata dall’avvocato Luisella Cavallo, ha sostenuto che non ci fosse alcuna intenzione di falsificare gli atti: “L’ordine di servizio è stato compilato in ogni sua parte, anche quelle relative alle attività non svolte. G.S. aveva spiegato al collega che c’era stato un controllo di carattere cartaceo e che era tutto a posto. La circostanza viene confermata da quest’ultimo e da un altro carabiniere presente”.
All’esito dell’istruttoria, il giudice Giovanni Mocci ha ritenuto provati i fatti e condannato l’appuntato G.S. a nove mesi di reclusione con il beneficio della sospensione condizionale.