La Sezione autonoma misure di prevenzione del Tribunale di Milano ha disposto l’amministrazione giudiziaria, a seguito di un’inchiesta dei carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro e del pm Paolo Storari, per l’azienda dell’alta moda Alviero Martini spa, specializzata in borse ed accessori, “ritenuta incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo nell'ambito del ciclo produttivo”. Sarebbero stati massimizzati i profitti usando opifici cinesi e facendo ricorso a manovalanza in nero e clandestina.
Il commissariamento è stato disposto dalla Sezione misure di prevenzione, presieduta da Fabio Roia, a carico dell’azienda fondata nel 1991 a Milano dall’omonimo stilista cuneese, che nel 2003 ne ha ceduto il controllo a una finanziaria. Nota per la linea di borse e accessori Prima Classe, la Alviero Martini produce in particolare borse e accessori famosi per le mappe geografiche disegnate.
Stando agli accertamenti, l’impresa non avrebbe “mai effettuato ispezioni o audit sulla filiera produttiva per appurare le reali condizioni lavorative” e “le capacità tecniche delle aziende appaltatrici tanto da agevolare (colposamente) soggetti raggiunti da corposi elementi probatori in ordine al delitto di caporalato”. È stato accertato che la casa di moda avrebbe affidato “mediante contratto di appalto con divieto di sub-appalto senza preventiva autorizzazione, l’intera produzione a società terze, con completa esternalizzazione dei processi produttivi”. Le aziende appaltatrici, però, avrebbero solo nominalmente una “adeguata capacità produttiva e possono competere sul mercato solo esternalizzando le commesse ad opifici cinesi, i quali riescono ad abbattere a loro volta i costi grazie all'impiego di manodopera irregolare e clandestina in condizioni di sfruttamento”.
L’indagine della Procura di Milano ha appurato una connessione “tra il cosiddetto mondo del lusso da una parte e quello di laboratori cinesi dall’altra, con un unico obiettivo: abbattimento dei costi e massimizzazione dei profitti attraverso l'elusione di norme penali giuslavoristiche”. Il sistema, spiegano gli investigatori, consente di realizzare una massimizzazione dei profitti inducendo l’opificio cinese, con il classico sistema “a strozzo”, ad abbattere i costi da lavoro (contributivi, assicurativi e imposte dirette) facendo ricorso a manovalanza in nero e clandestina, non osservando le norme relative alla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro e non rispettando i contratti nazionali di settore riguardo alle retribuzioni della manodopera, agli orari di lavoro, alle pause consentite e alle ferie.
Nelle indagini dei carabinieri, a partire da settembre del 2023, sono stati effettuati accertamenti sulle modalità di produzione, confezionamento e commercializzazione dei capi di alta moda, con controlli sugli affidatari degli appalti e sui sub affidatari non autorizzati: i vari laboratori cinesi delle province di Milano, Monza e Brianza e Pavia. In particolare, sono stati controllati otto opifici tutti risultati irregolari, nei quali sono stati identificati 197 lavoratori di cui 37 occupati in nero e clandestini. Negli stabilimenti di produzione effettiva e non autorizzata è stato riscontrato che la lavorazione avveniva “in condizione di sfruttamento (pagamento sotto soglia, orario di lavoro non conforme, ambienti di lavoro insalubri), in presenza di gravi violazioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro (omessa sorveglianza sanitaria, omessa formazione e informazione) nonché ospitando la manodopera in dormitori realizzati abusivamente ed in condizioni igienico sanitarie sotto minimo etico”.