Per la zuffa scoppiata il 19 maggio 2018 nell’orto del caseggiato sono a processo il 61enne F.A. e il 22enne C.A., padre e figlio italiani, insieme al loro ex vicino M.H., cittadino marocchino di 49 anni, e al suo amico e connazionale M.A. di 22 anni. A vario titolo devono rispondere di rissa, lesioni personali sia tentate che aggravate in concorso, porto di armi improprie, resistenza a pubblico ufficiale e minacce.
A dar fuoco alle polveri sarebbe stata una banale discussione relativa alle biciclette nell’androne: F.A., incrociando per le scale il fratello del suo vicino M.H., avrebbe chiesto di spostarle. In seguito i due si erano ritrovati appena fuori dal palazzo ed erano passati alle vie di fatto. Su cosa sia davvero successo le versioni divergono in modo radicale: la compagna di F.A., ascoltata nell’ultima udienza del processo, ha riferito di aver sentito dei rumori mentre il suo convivente si stava recando all’esterno dell’edificio con falcetto, indispensabile per alcuni lavori di giardinaggio. Preoccupata per via dei precedenti screzi con il vicino, avrebbe chiesto a suo figlio maggiore C.A. di andare a vedere cosa fosse successo: “Pochi minuti prima il mio compagno aveva discusso con l’inquilino del piano di sotto per via delle biciclette lasciate nell’androne. Alla semplice richiesta di spostarle aveva risposto insultandoci. Non era la prima volta che accadeva, solo due giorni prima per esempio mi aveva minacciata di morte”.
Una volta scesa, dopo aver chiamato i carabinieri, la donna aveva trovato il compagno e il figlio doloranti e con vistose ferite da taglio sul capo. A procurargliele, secondo quanto riferito, sarebbe stato il vicino insieme ad un suo amico. Questi avrebbero preso a badilate F.A. fin quasi a fargli perdere i sensi e poi ferito il figlio C.A. che era intervenuto in suo soccorso: “Conoscevamo di vista anche l’altro uomo, lo avevamo incrociato più volte nel condominio” ha precisato la compagna e madre dei due imputati, affermando inoltre che il giorno successivo il vicino sarebbe tornato alla carica prendendo a pugni la loro porta di casa e urlando minacce e insulti.
Anche il 48enne maghrebino ha deposto su quanto accaduto quel giorno, negando qualsiasi provocazione. Al contrario, ha sostenuto M.H., sarebbe stato F.A. ad apostrofare in malo modo suo fratello e a cercare in seguito lo scontro: “Quando sono sceso ho visto arrivare F.A. e C.A. insieme: il padre teneva in mano un falcetto e mi urlava offese razziste, mentre il figlio aveva un grosso coltello. Sono scappato spaventato proprio mentre sopraggiungeva il mio amico M.A., che li ha affrontati con una pala trovata per terra”. L’uomo è accusato anche di resistenza a pubblico ufficiale perché si sarebbe sottratto all’identificazione all’arrivo dei carabinieri, spintonando uno dei militari: “Ho discusso con il carabiniere solo perché non volevo che entrasse in casa, io non avevo fatto niente”.
I problemi in quel condominio, a detta del marocchino, andavano avanti da tempo: “I miei vicini non rispettavano nessuno. La signora lavorava in casa e dall’alloggio venivano rumori tutto il giorno. Ho chiamato quattro volte i carabinieri per questo motivo e mi sono rivolto anche all’Atc, poi ho cambiato casa”.
Il processo a carico dei quattro imputati è stato rinviato all’11 gennaio prossimo per la discussione.