Le indagini sulla morte di Raffaello Bucci, l’ex ultrà juventino divenuto responsabile delle relazioni con i tifosi per la società bianconera, lasciano aperti molti, troppi interrogativi. Pugliese di San Severo trapiantato a Margarita, il 40enne Bucci morì il mattino del 7 luglio 2016 scavalcando il parapetto di un cavalcavia autostradale a Fossano: un suicidio, per gli inquirenti, sul quale però hanno verosimilmente influito “interventi esterni” che i pm non hanno potuto ricostruire nella loro interezza.
Bucci aveva cominciato la sua scalata alla gerarchia della curva sud juventina vendendo biglietti nei pressi dello stadio, per poi assumere il ruolo di organizzatore delle trasferte per conto dei Drughi, il gruppo dominante del tifo bianconero. Dopo gravi dissidi con il capo storico del gruppo Geraldo Mocciola, culminati forse in un pestaggio ai suoi danni, “Ciccio” aveva lasciato i Drughi ma era tornato pochi mesi dopo, nell’ottobre 2015, a gestire i rapporti tra la Juventus e gli ultras per conto del security manager della società Alessandro D’Angelo. In questa veste i pm torinesi che indagavano sulle connessioni fra la ‘ndrangheta trapiantata in Piemonte e il mondo del tifo lo avevano convocato per un interrogatorio il 6 luglio. Uscito dalla Procura, l’ex ultrà era apparso sconvolto da qualche improvvisa rivelazione che lo avrebbe portato al gesto estremo. Ma quali timori lo hanno condotto a tanto?
Su questo non è stato possibile mettere alcun punto fermo. Tuttavia Paolo Verra, l’avvocato della ex compagna di Bucci Gabriella Bernardis, si dice soddisfatto di quanto è emerso dalle indagini avviate nel 2018 a Cuneo: “Dall’ipotesi di un suicidio puro e semplice si è arrivati a riconoscere che di complicazioni esterne ce n’è ben più d’una e di dubbi ne rimangono parecchi. Siamo pronti a riaffrontare il discorso nell’eventualità che dovesse saltare fuori qualcosa di nuovo”. Per esempio riguardo a quell’incontro allo Juventus Stadium che Bucci avrebbe avuto, uno o due giorni prima di recarsi in Procura, con Dino Mocciola e con Salvatore Cava, altro esponente di punta dei Drughi. A parlarne è stato lo stesso Cava, mentre Mocciola afferma di non ricordare alcunché della circostanza. I termini in cui Cava ricostruisce quel colloquio appaiono tuttavia incredibilmente favorevoli alla posizione di Dino: “Bucci ci disse che ci avrebbero arrestati tutti, io chiesi la ragione e lui mi disse ‘Ma se mi chiamano cosa devo dire?’ e Mocciola gli rispose ‘se ti fanno delle domande dì la verità su tutto’”.
È verosimile che le cose siano andate davvero così? “È emblematico che Mocciola non ricordi la circostanza né sappia di cosa hanno parlato, - sottolinea l’avvocato Verra - sta di fatto che si sono incontrati, guarda caso il giorno prima che Bucci ricevesse la convocazione in Procura. Sappiamo inoltre che dovevano incontrarsi il giorno dopo il suo interrogatorio”. Quel secondo incontro non ci sarà mai: la mattina del 7 Bucci arriva a Torino, dove ha appuntamento anche con un ispettore della Digos che sarà l’ultimo a sentirlo al telefono prima della morte. Poi però fa marcia indietro e ritorna in autostrada, togliendosi la vita.
Oltre al dubbio su cosa possa averlo indotto al suicidio, pesa l’impossibilità di ricostruire dove - e con chi - abbia trascorso la sua ultima notte: dalle celle telefoniche risulta presente a Beinette, presso l’abitazione della Bernardis che in quei giorni era lontana da casa, fino alle 21,30. Dopo avrebbe fatto rientro a Margarita. I riscontri sono però smentiti dalla testimonianza di un vicino di casa della donna che afferma di aver visto la Jeep Renegade di Bucci parcheggiata nel cortile condominiale oltre le 23: “È certo che era a Beinette in occasione della telefonata con la Bernardis delle 18,49 e che l’auto è rimasta lì: sicuramente da Beinette a Margarita non può essere andato a piedi” commenta il legale di famiglia. Si torna sempre all’ipotetico incontro con qualcuno, forse la persona a cui si riferiva confidando agli amici più stretti “mi sono fidato della persona sbagliata”: “Tante cose che non sappiamo a chi riferire o a quali fatti ricondurre, ma le cose strane cominciano a essere troppe”.
Comprese quelle accadute dopo la morte di Bucci, quando il borsello nero che era nella sua auto sparisce insieme alle chiavi di casa della Bernardis e a un rosario stretto intorno alla leva del cambio. Per poi riapparire all’improvviso, il pomeriggio dell’11 luglio, quando la Jeep è stata ritirata e parcheggiata all’interno della sede della Juventus: una sede sorvegliata da guardie private e telecamere di sicurezza, dove è pressoché impossibile entrare e uscire senza essere notati da nessuno. “La società non ha segnalato anomalie nella sicurezza” ricorda Verra, concludendo: “Probabilmente non sapremo mai chi sia stato a portare via e poi restituire il borsello e le chiavi, sta di fatto che non può essere stato chiunque a farlo”.