BUSCA - Condannato dopo le confidenze della figlia alle maestre: “Se vado a scuola, papà farà male alla mamma”

Tre anni per maltrattamenti. Nessuna denuncia dalla ex moglie, ma lei in aula ha detto: “Mi ha minacciata di morte, voglio veder crescere la bambina”

Andrea Cascioli 16/10/2024 18:50

Non una querela dell’ex moglie, ma una serie di confidenze a scuola sono all’origine del processo per maltrattamenti in famiglia contro un uomo residente a Busca. L’imputato, già condannato per spaccio, è stato ritenuto colpevole dai giudici del tribunale: tre anni e tre mesi la pena, più un risarcimento di cinquemila euro nei confronti dell’ex moglie e altrettanti per la figlia.
 
“Temeva che il papà potesse farle del male quando lei non era a casa” hanno raccontato le insegnanti, spiegando perché Emma (nome di fantasia) a volte rifiutasse di entrare a scuola. Era stata la bambina a dirlo, affermando che questo era il motivo per cui non voleva lasciare la mamma. Alle maestre, però, la piccola aveva detto molto altro: ad esempio che in un’occasione il padre aveva lanciato le chiavi dell’auto in cortile e inveito contro la madre, gettandole addosso una sedia. “Emma - dice chi ne ha raccolto le confidenze - era molto preoccupata e aveva cercato di allontanare il papà, perché aveva paura di cosa potesse succedere”. Racconti circostanziati e ricchi di dettagli, quelli dell’alunna in terza elementare, resi più preoccupanti da altri aspetti. Come il fatto che la bimba dicesse di volersi trasferire dai nonni materni, con la mamma, “perché la casa dei nonni è vicina alla caserma dei carabinieri”.
 
Una prima ammissione della donna sarebbe arrivata solo mesi dopo: sul registro elettronico di classe, aveva scritto che Emma non era stata presente a scuola, il giorno prima, perché la sera precedente suo marito l’aveva picchiata e aveva portato via di casa la bambina. “Non ho sporto denuncia - ha detto ai giudici - perché tengo alla mia vita e a veder crescere mia figlia. Mi ha minacciata di morte, diceva che mi avrebbe ammazzata se gli avessi tolto la bambina”. Nel processo si è poi costituita come parte civile, assistita dall’avvocato Michela Giraudo. Il disagio della bambina, ha affermato il pm Francesca Lombardi, “fotografa una situazione oggettiva”.
 
Non è così nella prospettazione dell’avvocato Enrico Gallo, difensore dell’imputato, che ha sollevato dubbi sul resoconto della persona offesa nei vari episodi: “Se avesse subito un’aggressione da un uomo di quella corporatura, avrebbe avuto sicuramente lividi” ha osservato. Invece l’ambulanza era stata chiamata una sola volta e si sarebbe trattato, in quell’occasione, di “un mero diverbio che finisce in insulti reciproci”. Dubbi ulteriori, secondo la difesa, derivano proprio dai racconti di Emma: “Non c’è stata una perizia e la bambina non è stata sentita né fuori né dentro al processo. Potrebbe aver assistito a litigi coniugali violenti ed essersi spaventata”. In almeno un’occasione, ha aggiunto il legale, la figlia aveva menzionato una violenza di cui la madre non aveva fatto parola, riferendo di un presunto spintone dalle scale. L’imputato, nel suo esame, ha ammesso solo uno schiaffo, in una singola occasione: nient’altro.
 
C’è però un ulteriore aspetto della vicenda, legato alla sua attuale compagna. La donna, con cui conviveva già nel periodo dei fatti contestati, è venuta a testimoniare in suo favore, omettendo e poi negando di avere a sua volta presentato una denuncia dopo un accesso in pronto soccorso. Agli atti risultava invece una querela, poi ritirata, in cui la signora affermava di essere stata picchiata. La sua posizione sarà approfondita dalla Procura per l’ipotesi di falsa testimonianza.

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