Sarebbe stato uno spintone dato a una ragazza, senza volerlo, il motivo scatenante dell’episodio di violenza che ha portato al processo e alla condanna di un giovane morozzese. S.R. è stato ritenuto colpevole di lesioni personali dal giudice Elisabetta Meinardi, chiamata a pronunciarsi su un’aggressione denunciata lo scorso anno a Castelletto Stura, durante la festa di San Magno.
Una condotta “particolarmente spregevole” quella dell’imputato, secondo il pubblico ministero. Per l’accusa il gruppo dei morozzesi, capeggiato da S.R., avrebbe cercato una scusa qualunque per “regolare i conti” con due fratelli cuneesi e alcuni loro amici, meno numerosi e più giovani d’età. Ad avere la peggio un 21enne, ritrovatosi con una frattura al naso e venticinque giorni di prognosi: “Eravamo in otto, abbiamo visto avvicinarsi una trentina di persone, con aria minacciosa. Uno di questi ha preso per il collo un mio amico facendolo cadere dalla panchina, poi è scattata l’aggressione. Quando ho visto mio fratello per terra, preso a calci e pugni da sette o otto ragazzi, sono accorso in sua difesa e uno di loro mi ha colpito con un pugno”. Il fratello, anche lui vittima del pestaggio, ha aggiunto: “In quel momento pensavo di morire, erano molto cattivi. Sono rimasto pieno di lividi per una settimana”.
La versione fornita dai due è stata confermata da alcuni amici che erano con loro quella sera e dal presidente dell’Acli, presente al momento dello scatenarsi della rissa: “Mi ero già messo in mezzo per dividere i due gruppi. Gli altri erano tranquilli sulla panchina, quando S.R. gli è arrivato addosso e ha colpito uno dei ragazzi seduti. Dopo mi sono allontanato per avvisare i carabinieri e il sindaco”. Tre giovani che erano insieme all’imputato, invece, hanno raccontato qualcosa di diverso. A loro dire le cose sarebbero degenerate per l’intervento di un ragazzo di colore, sconosciuto ai presenti, che aveva colpito S.R. senza ragione e innescato la rissa. Una versione ritenuta del tutto implausibile dal procuratore Alessandro Borgotallo, convinto della gratuità della violenza usata dall’imputato: “Queste condotte presentano in astratto enormi fattori di rischio. Si colpisce in tanti contro pochi, anche alla testa”. Chiedendo la condanna a un anno e sei mesi, il rappresentante dell’accusa ha aggiunto: “È inaccettabile che un contesto come una festa patronale degeneri in un’aggressione proditoria, contro persone ritenute estranee alla comunità”.
Alle conclusioni del pm si è associato il legale di parte civile Vittorio Sommacal: “È necessario un segnale perché questa gente capisca che non siamo nella giungla, dove vige la legge del più forte”. Uno dei testi di difesa aveva menzionato il fatto che i membri dell’altro gruppo “non si erano scusati” per aver urtato la loro amica: “Non sono intervenuti nel corso di un’aggressione La loro era una ritorsione voluta, cercata e messa in atto”. Per l’avvocato difensore Luca Blengino, però, “l’unico elemento contro l’imputato è la testimonianza del fratello della parte civile, che dice di aver visto questa scena mentre era a terra, con nove persone attorno a lui che lo prendevano a calci e pugni: difficile immaginare che avesse tale lucidità”. Dubbi ulteriori sono stati espressi dalla difesa circa le modalità dell’identificazione di S.R., avvenuta tramite il confronto con alcune fotografie su Facebook.
Il morozzese è stato condannato a sei mesi di reclusione con il beneficio della sospensione condizionale, più 5mila euro di risarcimento alla persona offesa. Per i tre testi a difesa è stato disposto l’invio degli atti in Procura: si valuterà se procedere per falsa testimonianza.