Nessun intervento esterno nel tracollo del Grand Hotel Terme di Vinadio. Lo hanno stabilito i giudici di Cuneo che hanno assolto i quattro imputati per il concorso nella bancarotta fraudolenta dello storico albergo con area termale in valle Stura.
Il processo ruotava attorno alla figura del 61enne M.R., originario di Genova ma residente a Varazze. Ex commerciante di auto con un salone ad Arenzano, l’imprenditore era stato oggetto di un sequestro da due milioni di euro operato nel 2017 dalla Guardia di Finanza di Savona e coinvolto in svariate indagini relative a “truffe carosello” e evasioni dell’Iva dai primi anni Duemila. Tra le molteplici operazioni da lui promosse in quel periodo figurava l’acquisizione dell’Hotel Villa Adele a Piani di Celle, nel comune savonese di Celle Ligure, attraverso la società Lpe srl. Nel marzo 2011 la gestione dell’albergo era stata affidata in cambio del versamento di 713mila euro alla Dema srl, costituita dall’imprenditore cuneese che all’epoca controllava lo stabilimento termale di Vinadio attraverso la D&D srl.
Due anni dopo però la stessa Dema aveva concesso Villa Adele a un’altra società, la Rode srl, intestata alla compagna di M.R., la savonese P.D.M.: il canone di affitto aziendale era stato fissato alla cifra irrisoria di 15mila euro all’anno, tanto che per rientrare della spesa in quelle condizioni alla Dema sarebbero occorsi 48 anni. Un dubbio affare per la società “gemella” della vinadiese D&D, al punto che la Cassa di Risparmio di Savigliano - in credito con la Dema per 620mila euro - aveva deciso di chiudere i rubinetti. Secondo la Procura di Cuneo sarebbe stata questa operazione ad accelerare il fallimento delle Terme di Vinadio, sancito nel 2014.
L’idea, ha spiegato l’ex gestore, sarebbe stata quella di tamponare le perdite nel complesso cellese in vista di una cessione che non avverrà mai, perché nel frattempo era arrivata l’ingiunzione di sfratto: “Le Terme di Vinadio erano in difficoltà, avevo cercato di vendere Villa Adele ma non c’ero riuscito. Allora avevo chiesto a M.R. di gestire l’albergo per il tempo necessario a trovare un compratore”. Il contratto di affitto stipulato con la Rode prevedeva una formula di 9+9 anni ma, assicura L.D., si sarebbe trattato di un mero pro forma: “L’accordo era che l’hotel mi sarebbe stato restituito quando avessi trovato un acquirente. Ma tra noi non c’era niente di scritto, solo un’intesa sulla parola”. La Rode (società con un capitale sociale di appena 20mila euro) in realtà non aveva mai pagato il canone d’affitto aziendale e nel luglio 2014 il tribunale di Savona gli aveva ingiunto di lasciare l’immobile. Dopo l’esecuzione dello sfratto, avvenuta in novembre, l’hotel sarebbe comunque rientrato nella disponibilità della stessa “cordata” attraverso la Ludox srl di L.D.M., fratello dell’amministratrice della Rode. I tre sono finiti a processo assieme a una quarta imputata, A.F., coinvolta come responsabile dell’immobiliare Piazza Saffi srl che aveva la proprietà di Villa Adele.
Per tutti il sostituto procuratore Pier Attilio Stea aveva chiesto un verdetto di condanna: rispettivamente a cinque anni di reclusione per M.R., tre anni e sei mesi per A.F., un anno a testa per P.D.M. e L.D.M., compagna e cognato dell’imprenditore varazzino. I giudici tuttavia non hanno ravvisato elementi di reato nelle condotte contestate: i quattro imputati sono quindi stati assolti perché il fatto non sussiste.