L’“accusato” era un pastore australiano di sei anni, ma a finire sul banco degli imputati - ovviamente - è stata la sua padrona. Alla signora D.M., residente a Centallo, si contestava il disturbo della quiete pubblica a seguito della denuncia sporta contro di lei da una vicina.
Nella primavera del 2020 la donna aveva presentato querela dopo precedenti segnalazioni - via mail e telefono - alla Polizia Municipale e vari tentativi di interlocuzione con i genitori della proprietaria dell’animale. “Io faccio i turni a lavoro, ho bisogno di riposare. Il cane abbaia tantissimo tutti i giorni, a tutt’oggi: speravo di risolvere la situazione con gentilezza” ha raccontato al giudice, affermando perfino di aver dormito in cantina pur di trovare requie: “È l’unico posto in cui non sento quel cane. Abbaia perché nessuno se ne prende cura ed è sempre da solo: avrebbe bisogno di essere guardato”. Anche altri vicini hanno confermato la sostanza delle accuse. “Per un periodo la faccenda è stata abbastanza insostenibile e ne abbiamo parlato con l’amministratore di condominio” ha testimoniato uno di loro, durante l’istruttoria. Un altro è stato ancora più netto: “Il cane abbaia sempre, dà fastidio e non si riesce a dormire. Sono due anni che andiamo avanti con questa storia. Un animale devi saperlo tenere e loro non ne sono capaci”.
Tuttavia sia il comandante dei vigili Filippo Scicolone, sia un carabiniere chiamato durante un intervento hanno affermato di non aver mai sentito abbaiare l’animale sul posto. Una circostanza che il difensore ha citato nella sua arringa, chiedendosi ironicamente se il cane fosse tanto intelligente da smettere di abbaiare all’arrivo delle forze dell’ordine.
Battute a parte, per la pubblica accusa la colpa c’era, sebbene all’imputata si riconoscesse di aver provato a porre rimedio - anche facendo seguire alla bestiola con un apposito “corso” di buone maniere. “Il disturbo era addebitato a uno solo dei suoi cani, non a tutti” ha precisato il pubblico ministero Annamaria Clemente, chiedendo la condanna alla sola pena pecuniaria di 200 euro. L’avvocato di parte civile Monica Anfossi ha ricordato come già un altro residente del vicinato avesse manifestato lo stesso fastidio: “Ha parlato di un abbaiare ininterrotto per ore, mentre un’anziana vicina ha detto che lo sentiva anche con le finestre chiuse”.
Il difensore dell’imputata, avvocato Ferruccio Calamari, ha ricordato che per poter parlare del reato di disturbo della quiete occorre una volontà cosciente nel “suscitare o non impedire strepitii di animali”. Volontà che nel caso di D.M. non si sarebbe mai manifestata: “Parliamo di un periodo di soli quattro mesi, dopo il quale il disturbo è cessato. L’autrice della denuncia, a differenza degli altri testimoni, ha sostenuto invece che i latrati continuerebbero tuttora”. Nel chiedere l’assoluzione, il difensore ha ricordato che la parte civile è stata a sua volta denunciata per minaccia e danneggiamento dalla vicina in un diverso procedimento: sarebbe stata questa la sola ragione della contestazione riferita al cane. “Il cane ha un diritto esistenziale di abbaiare, ma è stato fatto tutto il possibile per contenerlo” ha concluso il legale.
Il giudice Mauro Mazzi ha infine dichiarato il non luogo a procedere per particolare tenuità del fatto.