Non è bastato il racconto della presunta vittima, una ragazzina che aveva 13 anni all’epoca dei fatti, a dissipare i dubbi sulle condotte di due suoi parenti, un uomo e una donna ivoriani accusati di maltrattamenti.
Di fronte al giudice è finito il 33enne F.K., operaio residente in un comune del Cuneese, insieme alla sorella N.K., operatrice sociosanitaria. È emerso che l’adolescente registrata come sua figlia era in realtà una nipote della defunta moglie dell’uomo ed era arrivata in Italia nel 2015 tramite ricongiungimento familiare. La bambina aveva appena dieci anni e si era stabilita in casa di F.K. insieme ai cuginetti. Nel gennaio del 2018 era stata medicata in Pronto soccorso per una ferita al cuoio capelluto: lei riferiva di essere caduta e i sanitari che l’avevano visitata avevano optato per il ricovero, dimettendola solo dieci giorni dopo. La denuncia e la conseguente segnalazione al Tribunale per i minori erano scattate invece dopo un secondo accesso ospedaliero, nel marzo dello stesso anno. In quell’occasione era stata lei stessa a chiamare il 112, dicendo di essere stata aggredita dall’uomo registrato come suo padre. I carabinieri l’avevano soccorsa affidandola in seguito a una coppia residente nello stesso paese.
La ragazzina, che chiameremo Marguerite (nome di fantasia), è stata sentita in udienza protetta e ha descritto al giudice un quadro di profondo disagio in famiglia: affermava che il presunto padre, oltre a picchiarla, le avesse più volte legato le mani, privandola del cibo e costringendola a svolgere lavori pesanti in casa. Anche N.K., la sorella dell’uomo, le avrebbe usato violenza in ripetute occasioni: una volta le avrebbe dato uno schiaffo tanto forte da farle sbattere la testa contro il comodino, solo perché stava indossando una collanina a un piede. In un altro momento, dopo che Marguerite aveva rovesciato l’acqua in terra mentre lavava i pavimenti, N.K. si sarebbe arrabbiata fino a picchiarla.
In aula solo la donna ha risposto alle domande del pubblico ministero e degli avvocati, respingendo come semplici fantasie le accuse della giovanissima. Senza mai metterle le mani addosso, ha precisato, si sarebbe limitata a rimproverarla per la sua cattiva condotta nei confronti dei cuginetti: “In quel periodo la moglie di mio fratello era molto malata, sarebbe morta poco tempo dopo. Marguerite si comportava molto male con i cugini più piccoli: li sgridava, li insultava, li prendeva a calci e pugni. Ne erano terrorizzati”.
Il pubblico ministero Alessandro Bombardiere non ha creduto a questa versione, chiedendo per entrambi gli imputati la reclusione per un anno e sei mesi. Il difensore di N.K., l’avvocato Paolo Simondi, ha sostenuto che il processo non si basasse su elementi oggettivi all’infuori delle dichiarazioni della minore: “Marguerite è affetta da una patologia che può dare problemi psichiatrici: non per nulla le dichiarazioni che faceva sulle presunte violenze subite corrispondono a quello che faceva lei quando picchiava i nipotini”. Analoghe osservazioni sono state svolte dall’altro difensore, l’avvocato Antonio Vetrone, che assisteva F.K.: “All’uomo si contesta un solo episodio, nel quale avrebbe legato per i polsi Marguerite. Ma un singolo episodio non è sufficiente a integrare il reato di maltrattamenti e in ogni caso i carabinieri intervenuti hanno riferito che la ragazzina non presentava lesioni evidenti. Nemmeno in Pronto soccorso queste lesioni sono state refertate”.
Il giudice Alice Di Maio ha assolto i due imputati con la formula più ampia, quella dell’insussistenza dei fatti.