Giura di aver scagliato quella bottiglia contro il suo connazionale solo per difendersi da un’aggressione. A parlare è il trentasettenne di nazionalità somala M.H., in carcere con l’accusa di tentato omicidio.
L’uomo è comparso in tribunale per fornire ai giudici la sua versione sui
fatti accaduti in corso Giolitti la sera del 13 luglio dello scorso anno. Era stata una pattuglia di carabinieri di passaggio a fermare M.H. in compagnia di un suo conoscente 32enne: i due si stavano azzuffando su una panchina all’altezza del civico 6, nel tratto più prossimo a piazza Europa. Nel separarli, i militari avevano notato che l’altro uomo aveva un taglio profondo sul collo:
“Un pezzo di pelle penzolava dall’orecchio, abbiamo chiamato subito il 118 anche perché a terra c’era molto sangue” ha raccontato uno degli operanti intervenuti.
Tracce di sangue erano presenti anche sul collo di bottiglia che M.H. impugnava in quel momento, per questo il presunto autore dell’aggressione era stato arrestato. Incensurato, il somalo è in Italia dal 2008 e ha vissuto a Tarantasca prima di trasferirsi con altri immigrati in un alloggio della cooperativa Momo a Cuneo: “Ho lavorato per undici anni fino a gennaio del 2020, poi ho lasciato il posto perché non mi pagavano abbastanza e rifiutavano di mettermi in regola. Dopo ho vissuto con i risparmi e il reddito di cittadinanza”. A gennaio di quell’anno aveva conosciuto il suo connazionale in Questura, dove quest’ultimo gli avrebbe chiesto di aiutarlo a rinnovare i documenti. In seguito M.H. lo aveva anche ospitato a casa sua ma il rapporto amicale si era interrotto, spiega, quando l’altro era stato colto a rubare: “Ha derubato un mio coinquilino e quando il responsabile mi ha chiesto di identificarlo gli ho dato il suo nominativo”.
Proprio questa segnalazione sarebbe stata all’origine della violenta lite di quel giorno, scatenatasi dopo che i due somali si erano incrociati alla mensa della Caritas: “Mi ha raggiunto in corso Nizza e mi ha tirato un pugno, ci siamo azzuffati. Poi le rispettive compagnie ci hanno divisi e io sono andato a bere una birra. Mentre mi dirigevo verso la stazione è venuto verso di me con una pietra in mano, al che ho impugnato la bottiglia”. L’imputato afferma di averlo ferito “per fermarlo” ma senza l’intenzione di fargli del male: “La bottiglia si è spaccata quando ha sbattuto contro la pietra che lui teneva in mano”. Il 32enne avrebbe preteso dal suo conoscente che costui si adoperasse per far ritirare la denuncia di furto: “Non capiva che io non potevo farlo, ero soltanto un testimone nel processo contro di lui”.
Per il ferito, subito ricoverato in ospedale, la prognosi iniziale era stata di venti giorni: fortunatamente il taglio, profondo circa due centimetri, non aveva reciso la carotide come i medici avevano sospettato in un primo momento. Contro il parere dei sanitari il paziente era poi stato dimesso il giorno successivo.
Al termine dell’udienza l’avvocato Davide Calvi ha chiesto la concessione degli arresti domiciliari per l’imputato. Alla richiesta, cui non si è opposta la parte offesa, si è detto invece contrario il pubblico ministero Onelio Dodero: i giudici scioglieranno la riserva il prossimo 3 novembre.