Aveva rifiutato di fornire le sue generalità a una pattuglia di polizia, con frasi come “sono chiunque voi vogliate, voi sapete chi sono” o “fate il vostro lavoro, scoprite chi sono”. Per questo è finita a processo, ma il giudice l’ha assolta riconoscendo che si trovava in stato confusionale al momento dei fatti.
La protagonista della vicenda, G.A., una 41enne marocchina residente a Vernante, era stata fermata nel novembre del 2022 dagli agenti della Sezione Volanti della Questura. Pochi minuti prima, una donna aveva chiamato da un negozio di corso Giolitti, affermando di essersi rifugiata nel locale perché intimorita dall’aggressione verbale di una persona sconosciuta. Ai poliziotti aveva fornito una descrizione sommaria, in base alla quale era stata individuata poco dopo G.A., mentre camminava a piedi verso la stazione. Il vice sovrintendente Alberto Peira ha ricostruito la dinamica, spiegando che nemmeno dopo aver insistito nella richiesta la donna si era convinta a fornire il proprio nome.
Dopo averla accompagnata in Questura, gli agenti si erano preoccupati del suo stato di salute: “Per tutto il tempo - ha spiegato Peira - ha mantenuto una condotta strana, sia quando le venivano poste richieste che quando non le veniva chiesto nulla. Rispondeva senza dar seguito alle domande, con argomenti non pertinenti e tali da far supporre che versasse in stato confusionale”. Alla fine era stato richiesto l’intervento del 118, sfociato in un Tso nei confronti della donna. “Avevo già avuto un’esperienza negativa con i carabinieri” si è giustificata l’imputata, sostenendo che gli agenti non le avessero chiesto i documenti ma solo di salire in macchina, cosa che l’aveva portata a temere che avrebbe subito un’aggressione.
Da parte sua, ha precisato il vice sovrintendente, “non c’è stato nessun segno di violenza, né quasi una mancanza di volontà di collaborazione”. Il pubblico ministero Anna Maria Clemente aveva comunque chiesto una condanna a dieci giorni di arresto: “Che la persona avesse problemi per cui si è reso necessario l’intervento del 118 - ha affermato - non influisce sulle risposte alla richiesta giustificata della Questura”. L’avvocato Luca Borsarelli, difensore dell’imputata, ha invece sostenuto la tesi dell’incapacità di intendere e di volere all’epoca dei fatti: “Possiamo riconoscere che fosse affetta da manie di persecuzione da parte delle forze dell’ordine. Ha agito pensando di esercitare un preteso diritto”.