Quando i carabinieri forestali erano entrati in quel capannone a San Pietro del Gallo, nell’oltrestura cuneese, avevano trovato decine di cuccioli di cane di varie razze: cavalier king, bulldog francesi, chow chow, maltesi. Ad attirare l’attenzione era però la mancanza di cani adulti, uno degli elementi attorno ai quali è ruotato il successivo processo contro il cuneese C.B., ex dipendente Michelin, classe 1978.
Era lui a mandare avanti l’allevamento formalmente intestato al suocero, avviando secondo le accuse un lucroso traffico internazionale di animali. A spese di tanti cuccioli - 187 quelli identificati dai militari - che venivano strappati troppo presto dalle loro madri, per affrontare estenuanti viaggi nel cofano di un’automobile dall’Ungheria al Piemonte. Qui i piccoli che sopravvivevano, privi dei documenti di accompagnamento e dei trattamenti sanitari e vaccinali, venivano “italianizzati” con falsi libretti e microchip identificativi alterati. Il tutto con la compiacenza di S.B., veterinaria di Busca, che aveva fornito la documentazione e gli accrediti necessari e che per questo ha in seguito patteggiato una condanna.
Le indagini dei Forestali erano nate dalle segnalazioni di tre diversi proprietari di esemplari di cavalier king, che lamentavano le cattive condizioni di salute dei cani. I successivi accertamenti avevano permesso di scoprire che tutti venivano registrati all’anagrafe canina come nati presso le abitazioni dei loro acquirenti: in nessuna delle schede identificative si menzionava l’allevamento. A rafforzare i sospetti degli inquirenti contribuiva il fatto che l’allevatore avesse fornito una partita Iva inesistente. Acquisendo i tabulati telefonici di C.B., i Forestali erano giunti al presunto contatto dell’allevatore in Ungheria: D.M., classe 1966, originario di Gorizia in Friuli ma da tempo residente a Pecs. Anche lui è finito sotto processo, con l’accusa di traffico illecito di animali da compagnia, cui si aggiungevano per C.B. e la sua compagna i reati di autoriciclaggio, frode nell’esercizio del commercio, falso ideologico ed esercizio abusivo della professione veterinaria. In casa del cuneese infatti gli inquirenti avevano rinvenuto attrezzature (siringhe, medicinali e microchip) e un passaporto canino ungherese poi risultato falso, mentre nello studio veterinario di S.B., la dottoressa che aveva posizionato i microchip e validato la documentazione, erano emerse 187 schede di identificazione già compilate.
L’inchiesta “Nero Wolf”, condotta dall’allora procuratore capo Francesca Nanni nel 2018, ha portato anche all’apertura di un filone autonomo in centro Italia. In tutto trenta perquisizioni tra abitazioni private, allevamenti, negozi di animali e cliniche private. Sessanta i cuccioli sequestrati prima della commercializzazione e affidati alla Lida, che nel processo si era costituita come parte civile insieme ad altre due associazioni animaliste, Nogez e Anpana. Gli ignari clienti dei cani, succedutisi sul banco dei testimoni, hanno parlato dei loro contatti con C.B. e delle modalità di acquisto degli animali: “Il signore è stato molto sbrigativo, non ha dato informazioni sui genitori: diceva che i cani adulti erano con sua moglie che in quel momento era in giro. Il prezzo era di 650 euro ma siccome il cane era molto più grande di quanto avesse detto ci siamo accordati per 620 euro. Il cane aveva seri problemi di salute e l’ho poi fatto visitare dal suo veterinario” ha raccontato una sessantenne dell’Astigiano. Un’insegnante albese ha riferito: “Nel libretto del cane ho rilevato subito un errore ortografico, c’era scritto ‘pedigrie’ anziché ‘pedigree’. Il cane poi era indicato come ‘pura razza’ quando ero consapevole che non lo fosse. A mio figlio C.B. ha fatto firmare un documento, i carabinieri gli hanno spiegato che in base ad esso risultava fosse lui l’allevatore”.
A carico del 44enne cuneese il procuratore capo Onelio Dodero aveva formulato una richiesta di pena di tre anni e sei mesi. Undici mesi e 12mila euro di multa la pena proposta per D.M., presunto mediatore con gli “pseudo fornitori” di altri Paesi europei. Il giudice Giovanni Mocci ha condannato a un anno e sei mesi C.B. per le sole accuse di frode in commercio, falso ideologico e falso ideologico in certificati, assolvendolo invece dalle ipotesi di traffico illecito e riciclaggio. Il coimputato D.M. è stato anche lui assolto dall’unica imputazione. Nessun risarcimento è stato disposto nei confronti delle parti civili costituite: resta ancora da decidere la sorte di diciassette ex cuccioli, ancora confiscati e affidati in custodia a un’associazione.