Al passante che l’aveva soccorsa, e poi ai poliziotti e al magistrato, la donna aveva raccontato di essere fuggita da un alloggio del centro di Cuneo, perché l’amica che l’aveva fatta arrivare in Italia voleva costringerla a prostituirsi. M.F. e il suo compagno D.N., entrambi rumeni, sono stati perciò accusati di sfruttamento della prostituzione, oltre a un’ipotesi di lesioni contestata all’uomo.
A denunciarli una connazionale e amica di lei che avrebbe poi riferito di essere stata attirata in Italia con una promessa di lavoro come badante. M.F. le aveva anche pagato il biglietto dell’autobus e si era offerta di ospitarla nella sua abitazione in via Michele Coppino. Solo un paio di giorni dopo il suo arrivo, l’amica avrebbe compreso che l’attività per cui era stata ingaggiata era di ben diverso tipo. A una settimana di distanza, con l’aiuto della sorella, era riuscita a liberarsi dalla “tutela” dei due e a ritornare a casa, con l’aiuto degli agenti della Squadra Mobile della Questura di Cuneo.
Su quanto accaduto nel novembre del 2018 ha riferito stamane in aula la sorella della persona offesa, in video collegamento dalla Romania (si tratta della prima udienza di questo tipo nell’aula assise del tribunale di Cuneo). “Di notte mia sorella mi inviava foto con richieste disperate di aiuto, diceva che le era stato promesso un lavoro e invece era stata portata in Italia per prostituirsi” ha raccontato la testimone, all’epoca anche lei residente nel nostro Paese, in territorio laziale. A un certo punto, ha aggiunto, la sorella le aveva detto che avrebbe cercato di chiamare la polizia per “trovare un modo di uscire da quella casa”: “Mentre era in bagno sentiva loro due parlare, dicendo cose come ‘dobbiamo togliercela dalle scatole questa, perché se scappa e va in Romania racconta cosa succede’”.
Alla fine l’occasione per scappare si era presentata. Mentre la sorella distraeva i due parlando con loro al telefono, la sorella era scesa in strada e aveva fermato un’auto, chiedendo di essere portata in Questura. In sede di discussione il sostituto procuratore Francesca Lombardi ha riepilogato quanto dichiarato dalla vittima durante l’incidente probatorio, oltre ai risultati delle indagini successive: “Le erano state scattate foto in intimo per pubblicizzare l’attività su un portale di incontri. Agli incontri con uomini da parte di M.F., almeno sei o sette al giorno, era stata costretta ad assistere per ‘apprendere il mestiere’. Lei stessa in seguito aveva avuto un incontro con un cliente che ha confermato la sua versione”. Secondo la Procura, l’uomo non si sarebbe fatto scrupoli nell’intimorirla quando appariva più recalcitrante: “Lei ha riferito in particolare di un episodio in cui era stata strattonata e minacciata. In un’altra occasione, parlando con la compagna, lui aveva afferrato un machete mentre minacciava al telefono una donna: la cosa l’aveva molto impressionata”. I machetes sarebbero stati sequestrati durante una successiva perquisizione insieme a preservativi, abbigliamento intimo e 450 euro in contanti: “L’ultima attività lavorativa di D.N. risaliva a due anni prima. Durante la perquisizione, poi, lui aveva cercato di allontanarsi scendendo dalla grondaia”.
Per entrambi gli imputati la Procura aveva chiesto la condanna a quattro anni e tre mesi. Una richiesta contestata dal difensore dei due, l’avvocato Flavio Manavella, il quale ha sostenuto che il tono della corrispondenza via Whatsapp tra le due donne dimostrerebbe l’esistenza di una relazione sentimentale e la disponibilità della denunciante a prostituirsi, già prima di arrivare in Italia. La relazione, ha spiegato, si sarebbe interrotta dopo il rientro in Italia del compagno di M.F.: “A quel punto l’altra, vedendo la cosa come un affronto, aveva iniziato ad abusare di stupefacenti e alcol. Il successivo litigio non c’entra nulla con lo sfruttamento della prostituzione, è una vicenda di natura sentimentale”.
I giudici hanno ritenuto i due imputati colpevoli dell’ipotesi più lieve di favoreggiamento e induzione alla prostituzione, condannandoli a due anni e un mese di carcere e a 1050 euro di multa per ciascuno. L’uomo è stato assolto dal reato di lesioni per insussistenza del fatto.