Sette anni e sei mesi, più cinquantamila euro di multa, è la pena che il giudice Giovanni Mocci ha comminato a Girolamo De Simone, 43enne palermitano residente a Dronero, accusato di spaccio di cocaina. Da lui era partita nel febbraio 2017 l’inchiesta della Squadra Mobile della Questura che ha portato a processo anche il fratello, il padre, la moglie, il cognato e un cugino del principale indagato.
Tutti a vario titolo coinvolti, ritenevano gli inquirenti, chi per aver dato a De Simone un passaggio nelle sue peregrinazioni in cerca di approvvigionamenti, chi per aver fatto da corriere. A condurre al primo arresto era stata l’individuazione di due acquirenti davanti all’abitazione del sospettato: uno di loro aveva con sé due “cipollette” di coca appena acquistate. La successiva perquisizione aveva portato al sequestro di 28 grammi di polvere bianca, dieci dei quali ancora da confezionare, e un bilancino di precisione. Nelle intercettazioni, in quei giorni, De Simone parlava dei familiari come i suoi “operai” e definiva la droga “il prodotto”. Il padre e il fratello, fermati più volte in possesso di stupefacenti, non sono arrivati al dibattimento: il primo è deceduto, il secondo ha optato per un rito alternativo.
A processo, insieme ai familiari, sono finiti due presunti complici del “titolare” della ditta. Uno dei due, Fatmir Ziberi, 41enne albanese all’epoca residente a Villafalletto, è stato a sua volta condannato a sei anni e sei mesi, con 40mila euro di multa. È l’uomo che i poliziotti, in uno dei vari pedinamenti, avevano visto nascondere la roba in mezzo alla campagna tra Villafalletto e Dronero, sotto una catasta di legna. Qui era stata rinvenuta una confezione con 14 grammi di cocaina, chiusa col nastro adesivo. Dai riscontri è emerso che i fratelli De Simone si erano rivolti a Ziberi più volte, considerandolo una sorta di “grossista”. Quando la Polizia gli aveva fatto sentire il suo fiato sul collo, i due erano rimasti a corto di soldi per pagarlo e avevano tentato di diversificare, trovando altri canali a Cuneo.
Il quadro indiziario nei confronti dei quattro coimputati, invece, si è rivelato labile alla prova dei fatti. La Procura stessa aveva chiesto l’assoluzione per tutti loro, individuando precise responsabilità solo in capo a De Simone e Ziberi.