Soldi prestati per continuare a perdere soldi: un vortice senza speranza nel quale sarebbero cadute persone di tutte le età, illuse dal miraggio di vincite astronomiche o soltanto incapaci di smettere.
Secondo la Procura quello messo in piedi da una donna italiana e da un cittadino albanese in due locali di Cuneo era il meccanismo perfetto per incrementare il giro d’affari delle due sale slot gestite da lei in città. Ai clienti abituali dei due locali con l’insegna Atlantic City, situato uno in via Santa Croce e l’altro in via Bongioanni, erano stati concessi prestiti di denaro a condizione che i crediti fossero reinvestiti nel gioco. Per chi “sgarrava”, però, sarebbero arrivate le minacce e qualche volta le botte. Gli episodi risalgono ormai a una decina d’anni fa: solo ora, però, si è arrivati a contestarli a E.B., un’italiana oggi 65enne residente a Caraglio. La posizione di A.M., pluripregiudicato 47enne di nazionalità albanese, è stata invece stralciata a seguito dell’intervenuta espulsione dall’Italia. A processo è rimasto il solo F.G., amico e connazionale di A.M., che insieme a lui avrebbe gestito un traffico di droga servendosi delle sale slot come basi d’appoggio per smerciare dosi di cocaina.
Un ex cliente racconta di essere arrivato in quel locale per caso, consigliato da una persona che aveva incrociato in un’altra sala slot: “Aveva avvicinato me e mia moglie dicendo che c’era una sala più bella. Noi siamo andati lì e abbiamo giocato quattro o cinquecento euro, poi abbiamo continuato. La titolare ci trattava bene e ci portava anche i caffè. Avevamo molti soldi da parte, perché avevamo appena venduto un alloggio per 39mila euro”. Nel complesso, spiega, sarebbero finiti in fumo risparmi per oltre 30mila euro, investiti in giocate che la coppia pagava con assegni circolari intestati a E.B. o a suo figlio. Solo dopo si sarebbe fatto vivo un sedicente “socio” della proprietaria dell’Atlantic City, pretendendo la restituzione del debito: “Mia moglie era terrorizzata: se le avesse presentato una ricevuta da 100mila euro avrebbe firmato anche quella. Sapevamo che aveva picchiato della gente e una volta lo abbiamo visto comparire sotto casa, diceva a mia moglie ‘devi portarmi i soldi, perché voglio andare in Albania e aprire una sala giochi’”. I due avrebbero tentato anche di accedere a un prestito, senza successo: “Ma gran parte dei soldi li abbiamo restituiti. Li consegnavamo sempre a E.B., a lui mai”.
Un’altra cliente cuneese, all’epoca trentenne, ammette di aver giocato “ogni tanto” nella sala giochi di piazza Santa Croce: “Non ho mai ricevuto finanziamenti per giocare, ma A.M. mi aveva chiesto soldi. In un’occasione mi mise le mani addosso, ci eravamo azzuffati dopo il suo ennesimo messaggio del genere ‘ti vado a prendere la famiglia’. Era intervenuta anche la Polizia ma non era successo nulla, eppure tutti sapevano che spacciasse”. Problemi analoghi a quelli denunciati da un 51enne del Saluzzese: “Ho perso circa 70mila euro in poco più di un anno. Quando non sono più riuscito a pagare erano arrivate le minacce dell’albanese: lui e la padrona del locale sono venuti perfino a casa mia, per farmi firmare una cambiale da 25mila euro. Ho minacciato di chiamare i carabinieri e lui ha risposto ‘chiama chi vuoi, non me ne frega niente’”.
Gli inquirenti hanno appurato in seguito che tra la titolare dell’Atlantic City e il presunto “esattore” non ci sarebbero stati rapporti di lavoro. Una circostanza confermata dal figlio dell’imputata, sentito nell’ultima udienza: “Era un semplice avventore, ma a un certo punto ha iniziato a comportarsi come se fosse il proprietario e a creare problemi. Avevo sentito dire che si occupasse di recupero crediti e sapeva che alcuni clienti avevano debiti con mia madre, lei però non ha mai chiesto a nessuno di recuperare i soldi”. Il teste ha confermato, in ogni caso, che i prestiti venissero concessi ai clienti più “fedeli”: “Si compilavano assegni e mia madre faceva firmare a tutti una ricevuta”. La conclusione del processo è prevista per il 14 settembre.