È di nuovo a processo Umberto Onda, il 50enne boss del clan camorrista Gionta di Torre Annunziata, chiamato questa volta a rispondere di oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale. Solo un’accusa in più, per quello che era stato uno dei criminali più spietati sulla scena campana nei primi anni Duemila: fino all’arresto nel 2010 era tra i cento latitanti più ricercati in Italia.
Tra il 1998 e il 2004 “Umbertino” fu uno dei protagonisti della guerra di mala contro il sodalizio avversario Limelli-Vangone. Onda era l’erede designato del boss Valentino Gionta, il fondatore del clan e referente di Cosa Nostra nel Napoletano, in carcere dal 1985. È stato condannato come esecutore materiale di tre dei sei omicidi avvenuti durante la faida tra i “valentini” e i loro nemici. Fu lui a premere il grilletto anche contro una 63enne che aveva sputato verso i killer del figlio, nell’aula del tribunale. Pochi giorni dopo Anna Barbera fu punita con la morte per l’affronto.
A Cuneo il boss torrese, oggi detenuto a Sassari, era stato trasferito nel 2022 dopo una permanenza turbolenta al carcere delle Vallette di Torino, segnata dall’aggressione a un agente a cui aveva rifilato un pugno in faccia. A un mese dopo questo episodio, in agosto, risale la vicenda che lo vede alla sbarra nel nostro tribunale. L’accusa è quella di aver minacciato un assistente capo del carcere dopo una discussione: “Era l’ora di immissione al passeggio - ha spiegato in aula il poliziotto - e lui ha aperto tutti gli spioncini che ha trovato sul percorso della passeggiata, parlando con altri detenuti”. Il regolamento per i reclusi in regime di 41 bis, come è il caso di Onda, prevede norme restrittive per le comunicazioni con gli altri detenuti: “Il mio dovere era evitare conversazioni fra loro” ha fatto presente la guardia. Un richiamo che avrebbe pagato con una minaccia esplicita: “Disse che sapeva che sono di Avellino, citando il mio quartiere di provenienza. Aveva detto che sarebbe venuto a prendermi a casa anche quando fossi stato in pensione, con la frase: ‘È quando siete in pensione che dovete preoccuparvi di più’”.
L’accusato, comparso in udienza tramite videoconferenza, ha spiegato di aver già conosciuto l’assistente capo in un altro carcere: “Me l’aveva detto lui di essere originario di quel quartiere, perché siamo compaesani. Conosco anche il fratello perché entrambi hanno avuto tante denunce da parte dei detenuti, sono persone particolari”. Una “belva”, lo ha definito il boss nelle sue dichiarazioni spontanee, lamentando la mancata acquisizione dei filmati delle telecamere che dimostrerebbero, a suo dire, una diversa realtà dei fatti. Nella casa circondariale di Cerialdo Onda era rimasto solo per pochi mesi, perché in quel momento si trovava in cura in psichiatria e Cuneo non aveva un reparto adatto: il suo legale ha chiesto l’acquisizione della documentazione medica. La prossima udienza si terrà il 23 maggio.