All’inizio erano solo complimenti, piccoli omaggi, gesti di attenzione un po’ ingenui ma innocui. Poi si è passati alle molestie vere e proprie e ad intrusioni sempre più inquietanti. Fino a che la destinataria delle spiacevoli avances, una giovane di Centallo, si è ritrovata il suo spasimante sul balcone di casa, nel cuore della notte.
A quel punto M.S., il bracciante africano protagonista della vicenda, è stato denunciato una seconda volta per violazione di domicilio. La prima denuncia era arrivata già mesi prima, per stalking, quando l’uomo aveva abbracciato la ragazza sul piazzale della stazione, mentre lei cercava di allontanarsi ed entrare in auto. Non è mai stato violento, spiega la giovane, ma molesto sì: per qualche motivo si era invaghito di lei, tanto da raccontare ai carabinieri, recatisi più volte a casa della ragazza per allontanarlo, che lì abitava “sua moglie”.
Tra i due c’era, in realtà, solo una conoscenza molto superficiale: lui aveva lavorato come stagionale nell’azienda agricola del padre di lei, una volta avevano raccolto la frutta insieme per mezza giornata. Tutto lì. “Non gli ho mai parlato e mai dato modo di coltivare speranze. Dopo quell’incontro avevo detto io stessa a mio padre che non volevo più saperne” ha spiegato l’autrice della querela. Tramite sua madre, il bracciante le aveva fatto avere un anellino di plastica in regalo. Un’altra volta le aveva mostrato una mela: “Sei bella come questa mela” le aveva detto, nel suo italiano molto stentato. Già allora, però, qualcosa non andava: “È successo che salisse sul cofano dell’auto di sua figlia per non farla allontanare” ha ricordato la madre. Al padre l’aveva addirittura chiesta in sposa: “L’ho ripreso varie volte, dicendogli che a mia figlia non interessava una relazione e doveva smetterla” conferma l’uomo. Poi il dipendente era stato licenziato. Ma per altre ragioni, assicura il suo ex datore di lavoro: “Non si comportava secondo le regole. Più volte l’ho trovato sul trattore, sebbene non avesse la patente per guidarlo”.
Anche dopo l’allontanamento dall’azienda, l’africano aveva continuato a presentarsi nell’abitazione di famiglia: passava con qualsiasi scusa, all’ora di cena e perfino a notte inoltrata. “Almeno una volta al mese. - dice la ragazza - Parlava con i miei familiari chiedendo di altro, ma si capiva che era lì per me. Io non mi facevo nemmeno vedere, per evitare altri problemi”. Ciononostante, le era capitato di imbattersi in quell’uomo più volte: “Una sera ho notato la sua presenza tornando da lavoro: ho visto qualcuno accendere e spegnere la luce in cortile, ma nessuno dei miei familiari era in casa. Ho notato la sua bici e poi mi sono allontanata, perché nel frattempo avevo ricevuto notizia di un lutto in famiglia. Chissà quante volte è venuto senza che noi lo sapessimo”. La goccia che aveva fatto traboccare il vaso, come si è detto, era stato un successivo incontro in stazione, a marzo dello scorso anno: “Ero nel parcheggio, non ho notato la sua presenza. Lui si è avvicinato da dietro e mi ha stretta, ma subito dopo sono riuscita a liberarmi. Non ha fatto grosse parole nemmeno in quella circostanza, mi prendeva la sciarpa e non mi lasciava aprire la macchina”. In quell’occasione i carabinieri erano intervenuti pochi istanti dopo, con due pattuglie. Il molestatore e l’amico che era insieme a lui erano stati identificati.
Ancora nel giugno successivo, però, si sarebbe verificato un episodio preoccupante. Nel cuore della notte la ragazza aveva sentito un rumore e si era precipitata dai genitori: “Sono uscito dal balcone e l’ho trovato lì, era salito con una scala che poi era caduta a terra” ricorda il padre. Nessuna violenza nemmeno in quell’occasione, solo tanta comprensibile paura: “Gli ho chiesto se si rendesse conto di cosa stesse facendo ma lui non ha più parlato, dopo i poliziotti lo hanno portato via e abbiamo fatto denuncia. Da quel giorno non l’ho più rivisto”. Non lo ha rivisto nemmeno sua figlia, che tuttavia dice di avere ancora paura: per provare a liberarsene ha frequentato un corso di autodifesa, ma continua a sentirsi inquieta quando rientra a casa o va a passeggio con un’amica. “Mi guardo sempre attorno - dice - perché abitiamo in un posto isolato. La casa più vicina è a duecento metri dalla nostra”.
Circostanze che hanno indotto il pubblico ministero Anna Maria Clemente a chiedere una condanna a tre anni e sei mesi per l’imputato, parlando di “una serie di episodi molto antipatici”. La difesa non ha negato la sussistenza dei comportamenti molesti, ridimensionandone però la gravità, anche in riferimento alla cultura di provenienza dell’uomo: “Dopo l’ultimo episodio ha probabilmente capito quello che prima non aveva compreso”. Il giudice Sandro Cavallo ha pronunciato una condanna a un anno e otto mesi di reclusione, confermando il divieto di avvicinamento alla persona offesa fino al giugno 2025.