“In quei fuoripista c’è sempre un certo rischio. Tutti noi ne eravamo consapevoli”: si è chiusa con la testimonianza di uno scialpinista francese l’udienza nel
processo per la morte del 35enne Eric Potier che vede imputati V.R. e P.C., due guide alpine ben conosciute nel comprensorio della Riserva Bianca.
I due devono rispondere dell’accusa di omicidio colposo in seguito alla valanga che il 23 dicembre 2016 aveva travolto e ucciso l’uomo, titolare di un negozio di articoli sportivi a Nizza. La vittima faceva parte di un gruppo di otto escursionisti che le due guide avevano accompagnato in eliski.
Gli sciatori erano partiti da Limonetto e - dopo essere stati lasciati dall’elicottero appena al di sotto della cima Giosolette - stavano percorrendo la dorsale nord est. Potier era sceso per quarto, dopo la guida V.R. che faceva da apripista e due amici, quando una slavina di grandi dimensioni lo aveva raggiunto: nonostante il rapido ritrovamento e il soccorso del 118, i tentativi di rianimazione si erano rivelati inutili.
Ora si tratta di accertare se quella sciagura si sarebbe potuta evitare. Secondo la Procura, il fatto che il rischio di valanghe indicato nel bollettino meteo non fosse elevato non avrebbe comunque dovuto trarre in inganno due esperti accompagnatori: l’area delle Giosolette era stata battuta da forti venti e le condizioni della neve avrebbero dovuto mettere in allerta le guide, sostiene il pm Raffaele Delpui.
In aula è stato sentito uno dei partecipanti all’escursione, che ha ammesso di aver notato qualcosa di strano: “Non era la stessa neve che avevamo percorso nella prima discesa. Era molto più crostosa”. A suo dire, anche gli altri escursionisti - tutti abili sciatori - avrebbero rilevato l’anomalia, discutendone con chi conduceva il gruppo: “Le guide ci hanno dato indicazioni molto più restrittive per la discesa. Era una neve più impegnativa dal punto di vista tecnico, ma nessuno si è rifiutato di scendere”.
Tutti i partecipanti alla gita, organizzata proprio da Potier, avevano ricevuto in dotazione una pala, un airbag e un dispositivo Artva, che agevola le ricerche in caso di valanghe entro un raggio di circa 40 metri. Poco prima della discesa sarebbe stato effettuato un controllo del materiale, ma secondo il testimone la guida che se n’era incaricata “è stata molto sul vago, non ha spiegato come funzionasse l’apparecchio”. Nessuno, inoltre, avrebbe richiesto agli sciatori di documentare le loro capacità tecniche: “Mi ritengo uno sciatore abile, ma non mi è stato chiesto di provarlo”.
Dopo il passaggio della slavina, le due guide avrebbero intimato agli sciatori che si trovavano ancora a monte di attendere che l’area fosse sicura prima di passare. Il corpo di Potier era stato ritrovato dopo una breve ricerca: l’airbag era visibile, segno che dovrebbe essere entrato in funzione al momento dell’impatto. Purtroppo, però, questa misura di prevenzione non era bastata a salvare la vita del 38enne.
Il prossimo 20 gennaio 2020 il giudice ascolterà i rimanenti testi.