CUNEO - L’assassino di Mihaela Apostolides visse in una comunità per minori travolta da scandali e abusi

Francesco Borgheresi era uno dei bimbi del Forteto, il centro fondato da Rodolfo Fiesoli nel Mugello e chiuso dopo una serie di condanne per pedofilia: in carcere è finita anche la madre adottiva dell’omicida

Borgheresi durante l'udienza papale con le vittime del Forteto

Andrea Cascioli 23/05/2020 13:31

 
È poco probabile che la parola Forteto evochi d’istinto qualche ricordo, pur confuso, a un qualunque lettore estraneo al contesto geografico di quei fatti. Eppure quella cooperativa agricola fondata nel 1977 da Rodolfo Fiesoli è al centro di uno dei più gravi scandali di pedofilia e abusi sui minori nella storia italiana.
 
Una ‘Bibbiano prima di Bibbiano’, si potrebbe dire forzando un po’ il paragone, perché l’eco mediatica non è stata in alcun modo paragonabile a quella della più recente inchiesta e perché una verità giudiziaria sul Forteto è già stata scritta. È una verità che fa male e che tocca anche il vissuto di Francesco Borgheresi, l’uomo che ieri pomeriggio nel parcheggio dell’Auchan di Cuneo ha posto fine alla vita di Mihaela Apostolides con una serie di colpi di pistola in mezzo al petto.
 
Borgheresi è nato al Forteto nel 1978 da una socia fondatrice di quella che per quarant’anni è stata considerata una comunità taumaturgica per minori e disabili. In ottemperanza ai dogmi fortetiani sulla ‘famiglia funzionale’ il bimbo viene affidato a una madre adottiva, Daniela Tardani. Quest’ultima, ricorda oggi l’associazione Vittime del Forteto, è stata condannata a sei anni e quattro mesi e dopo il pronunciamento della Cassazione è finita in carcere nel novembre 2019: secondo i giudici era tra le collaboratrici più strette di Fiesoli, tra coloro che accompagnavano i bambini della comunità nella stanza del guru per fargli “togliere la materialità”.
 
Tutto incomincia quando a Farneto, in provincia di Perugia, una trentina di giovani occupano un casolare nella campagna. A guidarli ci sono Rodolfo ‘Foffo’ Fiesoli, il capo carismatico, e l’ideologo Luigi Goffredi: sono ex sessantottini che come molti altri vanno in cerca di un rapporto più autentico con l’ambiente e di una socialità alternativa alla contestata famiglia tradizionale. Il 4 ottobre 1977 la comunità si sposta in Toscana a Barberino del Mugello e prende il nome di Forteto. Da lì la sede si trasferirà in via definitiva presso una fattoria di 500 ettari a Vicchio, sempre in provincia di Firenze. La comune hippie diventa una cooperativa agricola e in pochi anni guadagna una “linea di credito illimitato” - per riprendere l’espressione del pm Ornella Galeotti - presso le istituzioni e la società civile toscana. Fiesoli viene salutato come un nuovo don Milani, tanto che quando già nel 1978 viene arrestato una prima volta insieme al sodale Goffredi negli ambienti della sinistra è difeso a spada tratta: in molti pensano che dietro l’inchiesta per maltrattamenti, corruzione di minore e atti di libidine violenta avviata dal pm Carlo Casini (più tardi animatore antiabortista del Movimento per la vita) ci sia soltanto la volontà di vendicarsi delle teorie educative del Forteto. Non basta nemmeno la condanna di Fiesoli per pedofilia nel 1985 (a difenderlo c’è un brillante avvocato di Democrazia Proletaria, il futuro sindaco di Milano Giuliano Pisapia) a scuotere le fondamenta di quello straordinario sistema di potere e relazioni.
 
Grazie alla fiducia di cui gode presso il presidente del Tribunale dei minori Gian Paolo Meucci e i suoi successori, alla comunità del Mugello saranno affidati in trent’anni una cinquantina di minori: quando vengono accolti li si sottopone alla pratica dei “chiarimenti”, attraverso la quale ciascun bimbo è invitato a raccontare in pubblico gli abusi a cui è stato sottoposto dai genitori, se necessario inventandoli. Anche gli adulti della comunità sono vincolati ai ‘dieci comandamenti del Forteto’, l’insieme di regole che impone la separazione tra sessi (anche per le persone sposate) e il divieto di relazioni eterosessuali: sono incoraggiati invece i rapporti omosessuali che Fiesoli, il quale definisce le donne “impure e puttane”, pratica con uomini e adolescenti. Alla cooperativa, in realtà una vera e propria setta, si impone di versare l’intera paga fatta salva una piccola quota per le spese personali. Proibiti tutti i contatti con l’esterno perfino per le visite mediche: di suturare ferite con ago e filo se ne occupa Fiesoli, mentre Luigi Goffredi è incaricato delle cure odontoiatriche. Per chi ‘sbaglia’, o cerca di reagire ai soprusi, ci sono botte e denigrazioni pubbliche.
 
La verità sulla ‘comunità degli orrori’ è venuta fuori solo dopo l’arresto del suo fondatore il 20 dicembre 2011, a seguito di una lunga vicenda giudiziaria per la quale già nel 2000 la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva condannato lo Stato italiano a pagare un risarcimento. Dalla denuncia per maltrattamenti di un ex bimbo del Forteto, cui Fiesoli aveva negato ogni contatto con la madre, partono le indagini che porteranno nel dicembre 2017 alla condanna definitiva: per Fiesoli, oggi 79enne, la pena è di 14 anni e 10 mesi, mentre per alcuni dei nove coimputati già condannati in appello per maltrattamenti a pene tra 1 anno e 8 mesi e 6 anni è intervenuta la prescrizione. Anche Luigi Goffredi, l’ideologo e braccio destro del guru, è scampato alla condanna a 6 anni grazie alla prescrizione.
 
L’associazione Vittime del Forteto presieduta da Sergio Pietracito ha operato in questi anni per assistere i bambini, divenuti adulti, a cui la folle utopia di Fiesoli e sodali aveva strappato l’infanzia. Anche Borgheresi ne faceva parte: su Facebook lo si vede immortalato davanti a papa Francesco che nell’agosto del 2017 ha voluto ricevere in piazza San Pietro i membri dell’associazione. “Queste persone hanno tutto il diritto a reclamare una giustizia e una libertà che gli spettava” scriveva sui social l’assassino dell’Auchan: “Quando si crea un corto circuito occorre ripararlo” commentano oggi, esprimendo il loro dolore, i rappresentanti delle vittime del Forteto. Quel ‘corto circuito’ che di certo non giustifica in alcun modo l’atto di sopraffazione con cui la vittima di ieri si è fatta a sua volta carnefice, ma che getta una luce sul cuore oscuro della tragedia.

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