BUSCA - L’elettricista morì stritolato da una piattaforma: il pm chiede condanne per quattro imputati

Una “sistematica condotta di sciatteria” è ritenuta all’origine della morte di Daniele Peroncelli, 32enne di Busca: nel 2020 lasciò la moglie e una bimba di due anni

Andrea Cascioli 14/03/2025 15:40

C’è stato l’errore umano, da parte di un elettricista che almeno sul piano formale era un lavoratore autonomo. Ma c’è stata anche, secondo il sostituto procuratore Alessia Rosati, una “sistematica condotta di sciatteria” con un “totale disinteresse per la salute dei lavoratori” da parte di chi gli aveva commissionato il lavoro.
 
Daniele Peroncelli, trentaduenne di Busca, papà di una bimba di nemmeno due anni, è morto la mattina del 14 gennaio 2020. Stritolato da una piattaforma su cui non sarebbe nemmeno dovuto salire, perché non aveva l’abilitazione per farlo. Stava cambiando alcune lampade sul soffitto di un capannone della Trae, un’azienda di autotrasporti nell’area industriale di via Laghi di Avigliana. A otto metri di altezza l’urto con una capriata del soffitto gli aveva provocato un trauma cranico e altre lesioni fatali. Su quel cantiere Peroncelli operava in subappalto per la Im. Q, la stessa ditta di installazione impianti per la quale aveva lavorato come dipendente prima di mettersi in proprio.
 
A oltre cinque anni di distanza la Procura ritiene corresponsabili dell’incidente mortale il proprietario della Trae, D.B., gli amministratori della Im. Q, D.Q. e M.Q., e un quarto imputato, S.B.: quest’ultimo è l’imbianchino che aveva lasciato in prossimità del capannone la piattaforma poi utilizzata da Peroncelli. “È verosimile ci sia stato un errore nella manovra” riconosce il pm: “Che l’infortunio si sia verificato mentre si spostava si evince anche dalla perizia medico legale sulle fratture”. I profili di responsabilità della Im. Q sono gravi, sostiene la rappresentante dell’accusa, anche perché “la sera prima la piattaforma della Im. Q era stata riportata in sede, pur essendo tutti consapevoli che il giorno dopo si sarebbero dovuti effettuare lavori in quota”. Peroncelli, quindi, doveva prendere l’unica altra piattaforma a disposizione, sulla quale non aveva mai lavorato in precedenza.
 
“Per otto ore Peroncelli è stato su quella piattaforma e nessuno è intervenuto” sottolinea il magistrato: “Il pregresso - aggiunge - è prova della grave colpa di Im. Q. Anche per le commesse precedenti non c’era stata nessuna verifica sul fatto che Peroncelli avesse un’abilitazione e sull’uso di dispositivi di protezione individuale”. La scarsa attenzione alla formazione e alla sicurezza sarebbe stata addirittura uno dei motivi per cui l’elettricista si era allontanato dall’azienda: “Si deve escludere che Peroncelli si sia ‘appropriato’ della piattaforma e delle sue chiavi, perché in Im. Q era prassi affidare lavori in quota a dipendenti o lavoratori non abilitati, e perché è emerso che era prassi anche in Trae o comunque era già accaduto il giorno prima”.
 
Le capacità tecniche e organizzative, accusa il sostituto procuratore, “erano del tutto inadeguate perché quel giorno la ditta non aveva strumenti per lavorare in quota né dipendenti abilitati: nessuno della Im. Q poteva farlo”. Il nominativo dell’elettricista non sarebbe stato nemmeno indicato sul cantiere. Dal canto suo la Trae “non ha mai controllato chi veniva mandato sul cantiere o forse sapeva benissimo che a lavorare c’era Peroncelli, conosciuto da tutti a Busca”. In paese il giovane papà viveva con la moglie Stefania Cuniberti e la loro bimba, Marta. Era stato membro della Pro Loco di Bosco di Busca, la frazione di cui era originario, nonché attivista e candidato del Movimento 5 Stelle alle comunali.
 
Il problema, afferma l’avvocato della famiglia Vittorio Sommacal, non è la mancata vigilanza ma l’aver “concordato la violazione con il lavoratore”: “È indubbio che ci sia un concorso di colpa del Peroncelli: era autonomo da poco, aveva bisogno di lavorare”. Questo non toglie, a giudizio della parte civile, che vi sia stato un grado di colpa “veramente elevato” da parte degli affidatari dell’appalto: “Perché c’era consapevolezza di poter creare danni gravi: non siamo all’incuria, ma al disprezzo delle regole”. Contro i due responsabili della Im. Q, unici tra gli imputati a non aver risarcito la famiglia, il pm ha chiesto una condanna senza attenuanti generiche: “Già in fase di indagini è stato necessario procedere a un sequestro probatorio, da parte dell’azienda non c’è stata collaborazione con lo Spresal”.
 
Per M.Q. la richiesta di pena ammonta a tre anni di reclusione e 14 mesi complessivi di arresto, per l’altro responsabile D.Q. tre anni di reclusione e sette mesi di arresto. Chiesta la condanna anche per i coimputati, D.B. della Trae e l’imbianchino S.B., a due anni ciascuno. Le difese parleranno tutte nella prossima udienza, il 30 maggio.

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