La vicenda meriterebbe davvero di essere appellata ‘kafkiana’, se non fosse che qui non si tratta di uno spaventoso processo ai danni di un imputato che non sa nemmeno di cosa lo si incolpi, bensì di un processo (anzi due) che nonostante la buona volontà di accusa e difesa non si riesce proprio a portare avanti.
L’”uomo che non può essere giudicato” è A.M., un cittadino albanese espulso dall’Italia nel 2014. I due procedimenti giudiziari che lo riguardano risalgono entrambi a fatti del 2012: in un caso, deve rispondere davanti al giudice monocratico delle accuse di rapina e lesioni personali aggravate ai danni di una barista cinese di Cuneo, che afferma di essere stata malmenata dall’albanese, cliente abituale del suo locale, dopo aver richiamato quest’ultimo perché saldasse i conti in sospeso. Il secondo processo, istruito dal tribunale collegiale, vede A.M. alla sbarra insieme al connazionale F.G. e all’italiana E.B., titolare della sala giochi dove lavorava come buttafuori quando viveva in Italia. Le imputazioni sono pesanti: secondo la Procura, la donna avrebbe gestito un giro di prestiti illeciti di denaro, utilizzando A.M. come ‘esattore’. A quest’ultimo, oltre a una serie di estorsioni realizzate e tentate, si contesta anche il reato di spaccio di stupefacenti in concorso con l’altro coimputato.
Nel 2014, alla scadenza dei termini per la custodia cautelare, A.M. è stato raggiunto da un decreto di espulsione, caricato su un aereo a Malpensa e rimandato in Albania. Dal suo Paese di origine ha continuato a partecipare con assiduità alle udienze dei due processi, grazie a un visto speciale che la Questura concede a chi si trova in questa particolare situazione. Questo, perlomeno, finché le autorità albanesi hanno cominciato a frapporre ostacoli alle trasferte giudiziarie dell’uomo: “È successo più volte. - spiega il suo avvocato, l’astigiano Guido Cardello - A complicare le cose ci sono i ritardi della Questura e gli adempimenti burocratici richiesti dall’ambasciata italiana a Tirana, che talvolta pone condizioni impossibili da soddisfare”.
L’ultima udienza nel processo per rapina e lesioni, ad esempio, era in calendario per lo scorso lunedì 7 ottobre ed è saltata perché l’autorizzazione della Questura è arrivata troppo tardi: “Nonostante l’udienza fosse in calendario da mesi, il nulla osta è arrivato solo il 1 ottobre. Il mio cliente si trovava in Montenegro per lavoro e in tre giorni lavorativi era impossibile ottenere quel visto dall’ambasciata”. Stessa scena si è ripetuta due giorni più tardi nell’altro procedimento che vede A.M. alla sbarra. Per quell’udienza, oltretutto, erano stati convocati otto testimoni.
Secondo la legge italiana, il legittimo impedimento dell’imputato a comparire in udienza è causa di rinvio del processo. I casi sono disciplinati in modo molto stringente per evitare possibili abusi: il giudice, per esempio, può valutare in modo discrezionale eventuali certificati medici o giustificazioni di altro genere. Quando però sussiste un’impossibilità a comparire per cause di forza maggiore, come in questo caso, non si può fare altro che prenderne atto e rimandare tutto.
C’è poi da aggiungere un ulteriore particolare: i visti speciali hanno una durata di soli tre giorni. Non sempre i giudici riescono a mettere in calendario le udienze dei due procedimenti a distanza così ravvicinata, e questo produce effetti paradossali: “In teoria - aggiunge il difensore di A.M. - se tra un’udienza e l’altra passa una sola settimana, il mio assistito dovrebbe richiedere due autorizzazioni successive, pagando quattro voli per uscire e rientrare due volte dall’Italia nel giro di una manciata di giorni. Oltre a essere un’assurdità, è una spesa che non può affrontare”. Proprio per essersi trattenuto più a lungo del dovuto, A.M. era stato arrestato e processato a Mondovì nel 2015, guadagnandosi una nuova espulsione che ha prorogato quella precedente fino a luglio 2020.
L’unica buona notizia per la giustizia è che, almeno per ora, non si rischia la prescrizione, anche per via dei precedenti penali da cui è gravato l’albanese. Ma nel frattempo sono già deceduti due dei testimoni convocati in uno dei procedimenti, e più passa il tempo più sarà difficile pretendere dagli altri una ricostruzione esatta di fatti a cui hanno assistito più di sette anni fa.
La legge, si dice, è uguale per tutti. Sempre ammesso che arrivi in tempo.