La scoperta di un diario è all’origine di una vicenda familiare in cui i traumi di un lontano passato si intrecciano a eventi molto più recenti. Due figlie contro i loro genitori, ora a processo entrambi per maltrattamenti. Ma il padre è accusato di qualcosa di più terribile e infamante: la violenza sessuale contro due dei suoi fratelli da bambini, e più avanti contro uno dei nipoti e altre presunte piccole vittime.
Un abisso di ricordi rimossi, rancori, discorsi fatti a mezza voce, in cui i giudici cuneesi stanno cercando di districarsi dopo aver ascoltato le figlie della coppia, i fratelli e le sorelle di lui, gli amici, perfino il prete del paese. Succede in un piccolo centro tra Cuneo e Mondovì: una famiglia numerosa, quella di lui, unita da legami molto forti. Anche la famiglia degli imputati, almeno in apparenza, sembra felice. Lui agricoltore, lei casalinga, le due ragazze che frequentano gli amici e l’oratorio, vanno in campeggio, si iscrivono all’università. In realtà sono anni che in quella casa cova un malessere crescente: soprattutto la più giovane delle due figlie ne è vittima. Dall’età di tredici anni incomincia a soffrire di gravi attacchi di panico, tenta due volte il suicidio, intraprende un percorso terapeutico assistita da diversi psicologi.
A un certo punto decide di lasciare i genitori e andare a vivere con la nonna: per un periodo anche la sorella farà la stessa cosa, prima di tornare a casa. Lei invece da mamma e papà non vuole più stare. Ormai maggiorenne, va a convivere con il suo fidanzato, apre insieme a lui un locale per alcuni anni, fino al Covid. I genitori di lei li aiutano, malgrado i rapporti siano ancora molto tesi. Poi la denuncia, la perquisizione in casa e l’allontanamento dell’altra figlia: “La mia vita è stata sconvolta da quell’8 giugno, quando pm e polizia sono venuti a perquisire casa e mi hanno accusata di una cosa aberrante” racconta oggi la madre, scoppiando a piangere in tribunale.
Nell’incidente probatorio entrambe le figlie hanno parlato di botte e punizioni fin dalla prima infanzia. Lo dice anche la maggiore, quella che non ha denunciato i genitori: “Venivo colpita con mani, piedi e oggetti. A volte chiusa in cantina, o fuori casa di notte, per mezzora o più, perché non volevo mangiare la cena”. Sua sorella sarebbe stata messa a dormire in un letto con le sbarre di ferro fino all’età di sette anni: quando ormai era troppo cresciuta, era costretta a rannicchiarvisi. Le amiche della ragazza parlano degli attacchi di panico a scuola, degli abusi cui lei avrebbe accennato: da bambina, diceva, sua madre le dava della “strega”, perché concepita la notte di Halloween. L’ex convivente racconta dei problemi affettivi, conseguenza anche quelli dei presunti maltrattamenti: “Non erano solo ‘due schiaffi’, - dice - non ho mai visto nessuno subire attacchi di panico per una semplice punizione”.
Per i genitori la verità è un’altra. Era quella figlia “ribelle” a odiarli nonostante avessero cercato di non farle mancare mai nulla. Odiava in particolare la madre, dicono, accusata di essere un “peso” per la famiglia: “Una volta mi disse che se volevo bene a lei e a sua sorella dovevo andare a suicidarmi. Chiesi alla psicologa come reagire e lei mi disse di non accettare le provocazioni. Mia figlia mi maltrattava e mi insultava, mi buttava l’acqua addosso, mi impediva di uscire. Io mi rifugiavo in bagno e piangevo”. Ma c’è anche quel diario, dove entrambe le sorelle dicono di aver letto una parola terribile riferita a loro padre: “pedofilo”. Un brandello di conversazione che la moglie avrebbe carpito in casa dei suoceri, secondo la ricostruzione di un’altra parente. “Io avevo otto o dieci anni, - ha ricordato uno dei fratelli - ero tre anni più piccolo di lui. Dormivamo insieme nel letto matrimoniale, lui voleva toccarmi le parti intime. Ci è riuscito, più volte. Io poi ho voluto cambiare letto”. In casa, conferma una delle sorelle, di questo si era parlato a mezza voce. Come si era parlato del rapporto sempre più teso tra l’uomo e le due figlie. Secondo il sostituto procuratore Alessia Rosati, i diari dell’imputata sono una prova a sé: “Emerge la profonda idealizzazione del marito e l’anaffettività nei confronti delle figlie che vengono chiamate ‘le tipe’ e con cui emerge la signora avesse continui conflitti, anche aspri. Si legge delle punizioni cui vengono sottoposte, del fatto che lei si sentisse sollevata quando le figlie si erano trasferite dai nonni, perché avrebbe potuto dedicarsi al marito. Gli attacchi di panico? Venivano definiti ‘sceneggiate’”.
Sull’accusa più grave verso l’uomo, quella di pedofilia, pesano le testimonianze di altre presunte vittime, oltre al fratello minore: una sorella, un nipote, due ragazzini che avevano frequentato la casa. I genitori del nipote confermano di aver appreso dal figlio solo qualcosa, dopo l’audizione in Questura: “Disse che lo zio lo aveva toccato nelle parti intime, non volle rivelare altro”. Accuse che lui respinge da quattro anni: “Giocavo con i bambini, ma non mi sono mai spinto oltre un abbraccio amichevole”. La richiesta di pena formulata dalla Procura è pesantissima, sebbene gli episodi più vecchi siano ormai prescritti: sedici anni di carcere per lui, sei anni - per maltrattamenti - anche alla moglie.
Il prossimo 5 giugno sarà il turno della parte civile e delle difese.