Dai continui dissapori tra due vicini, un tempo in buoni rapporti, è nato il procedimento contro M.B., imprenditore edile di nazionalità albanese residente a Madonna dell’Olmo.
L’uomo era
accusato dal titolare di una pizzeria, ubicata nello stesso stabile in cui risiede l’imputato, di minaccia e tentate lesioni aggravate. Nella serata del 26 giugno 2018, secondo il racconto dell’altro uomo, M.B. avrebbe scagliato contro di lui una mazza da muratore, colpendo l’inferriata del balcone sul quale si trovava il ristoratore.
“Quando ho visto il suo camion parcheggiato davanti al mio garage ho scattato alcune fotografie dal balcone della pizzeria. Lui mi ha insultato e gli ho risposto a tono” ha riferito in aula l’autore della denuncia, aggiungendo di essere stato fatto oggetto dall’albanese di epiteti razziali sulla sua origine maghrebina:
“Mi diceva ‘africano di m., vattene al tuo paese’”. La mazza scagliata da M.B. sarebbe rimbalzata per poi ricadere in cortile:
“Ero a poco più di due metri d’altezza. Se non fosse stato per la ringhiera avrebbe colpito me o il vetro della cucina”.
Il diretto interessato, dal canto suo, ha
negato ogni addebito:
“Non c’è stato nessun litigio, non abbiamo neanche urlato. Il pizzaiolo è uscito col telefono in mano e con l’altra mano si toccava i genitali in segno di provocazione, come aveva già fatto altre volte”. Infastidito da questo sgarbo, il muratore lo avrebbe apostrofato domandandogli
“a chi fai così?” e avrebbe lanciato con rabbia la mazza nel cassone del suo camion:
“Non l’ho scagliata contro di lui. Tra il cortile e il busto di chi si affaccia dal suo balcone ci sono oltre quattro metri, non sarebbe stato possibile”.
Ritenendo attendibile la ricostruzione accusatoria, il pubblico ministero Anna Maria Clemente aveva chiesto per M.B. la condanna a sei mesi di reclusione: “La persona offesa riferisce che la mazza aveva colpito l’inferriata del balcone ma avrebbe potuto colpire la finestra: gli agenti delle forze dell’ordine intervenuti hanno in effetti riscontrato l’ammaccatura sul balcone e una macchia bianca sul cortile, simile a quella di un corpo pesante che aveva impattato sull’asfalto”. Dello stesso avviso l’avvocato di parte civile, Marta Merlo, che ha contestato quanto l’imputato aveva riferito riguardo alle distanze tra sé e il suo antagonista: “Inverosimile sostenere che la ringhiera sia alta un metro e mezzo. Il colpo è stato sentito anche da due testimoni che si trovavano all’interno della cucina al momento del litigio”.
Per il difensore Davide Calvi, al contrario, sarebbe stata la parte offesa a fornire una versione non credibile riguardo all’altezza del balcone e alla traiettoria del martello: “Dalle foto si vede che l’inferriata era danneggiata già prima di quell’episodio. È molto più verosimile che il rimbombo sentito dai due testimoni fosse dovuto al lancio del martello sul cassone piuttosto che a un rimbalzo in terra”.
Il giudice Anna Gilli, al termine dell’istruttoria, ha condannato l’imputato a due mesi e 500 euro di risarcimento alla parte civile per la sola accusa di tentate lesioni, assolvendolo invece per l’accusa di minaccia.