Di certi record non è mai possibile gioire, perché si parla di vite umane perdute per sempre. L’analisi dei freddi numeri però si impone quando si tratti di veri e propri fenomeni sociali, come lo è il tributo di sangue che le strade richiedono fin da quando ciascuno di noi ha memoria.
Chi ormai non è più giovanissimo, anzi, senz’altro ricorda gli anni in cui i morti si contavano nell’ordine delle centinaia, in una provincia che ha dovuto attendere il terzo millennio per vedere un’autostrada interamente raddoppiata. Da allora il funesto soprannome di “autostrada della morte”, appiccicato addosso alla Torino-Savona fin dagli anni Settanta, è diventato sempre di più un ricordo. Certo si continua a morire, lì come sulle statali, sulle strade provinciali, nei centri urbani. Ma sono sempre più lontani, per fortuna, i tempi in cui la Spoon River d’asfalto segnava la tripla cifra: l’ultimo anno in cui ciò avvenne fu il 2004, vent’anni fa. Le vittime furono 104 ed erano già meno delle 122 del 2003, delle 124 del 2002, delle 108 del 2001: numeri esorbitanti, specie se visti in prospettiva.
Il 2023 appena chiuso ha visto ancora 29 persone perdere la vita: il primo è stato Marco Mattis, 20enne di Sommariva Bosco, rimasto ucciso in un incidente nel centro di Sanfré la notte del 7 gennaio scorso. L’ultimo Oumar Cissé, venticinquenne della Guinea, residente a Envie, schiantatosi contro un muro sulla Provinciale 28 nelle prime ore del 26 dicembre. In totale sono morte 14 persone che viaggiavano a bordo di automobili, 10 motociclisti, tre ciclisti e due pedoni. Dicembre, uno dei mesi più tragici, ha contato sei morti.
Siamo comunque in presenza di un record: le vite perdute non erano mai state così poche. Nemmeno nel 2016, anno di relativa “tregua” in questa contabilità, quando furono comunque trenta. Gli ultimi due decenni hanno visto un miglioramento quasi costante, ma lento: basti dire che nell’anno 2015 i morti erano stati 50 e nel 2017 sarebbero arrivati a 57. Quest’ultimo, in base ai dati dell’Istat sull’incidentalità, resta il peggior dato del decennio scorso. Negli anni più recenti il totale non ha mai più toccato o superato le cinquanta unità: nemmeno il 2020, però, ha visto avanzamenti significativi, nonostante interi mesi di lockdown durante la prima e la seconda ondata del Covid. Quell’anno le vittime furono 39, appena una in meno del 2019 e due in meno del 2018. Nel 2021 la conta è schizzata a 48 morti, lo stesso numero del 2013 e del 2011. Come se nulla fosse cambiato, appunto, malgrado i miglioramenti tecnologici sulla sicurezza dei veicoli, l’introduzione di nuovi strumenti legislativi e - osiamo sperare - un’accresciuta sensibilità sul tema.
Il dato provinciale dell’ultimo anno segue quello che
nel 2022 aveva fatto riscontrare un aumento sia dell’incidentalità, sia delle vittime: in regione sono aumentate del 25,5%, in misura superiore a una media nazionale assestata sul 9,9%. In totale l’Istat aveva censito nel suo report 10.148 incidenti, che hanno causato il ferimento di 14.084 persone e la morte di 241. A novembre scorso è uscita anche una ricerca dell’Anas sulle cattive abitudini più comuni alla guida. Sorprende - o forse no - scoprire che in base alle risposte dei 4mila intervistati il 10% degli italiani realizza video con il cellulare mentre è alla guida. Tra questi, il 3,1% ha ammesso di averlo fatto in prima persona alla guida del proprio veicolo, mentre il 6,9% ha dichiarato di essere stato a bordo di un mezzo mentre il conducente filmava.
Maglia nera, tra i peggiori comportamenti, per il distanziamento minimo non rispettato. Su un totale di oltre 102 mila veicoli al giorno osservati lungo tre direttrici stradali in gestione ad Anas, nel 38,5% dei casi la distanza di sicurezza non è stata rispettata. Si conferma tra i comportamenti errati più diffusi, sia pure con un lieve miglioramento rispetto allo scorso anno, anche il mancato utilizzo degli indicatori di segnalazione cambio corsia sia per la manovra di sorpasso (50,9%) sia per la manovra di rientro (50,7%) sia per l’entrata da rampa (32,9%). Da un’analisi più dettagliata sul tipo di veicolo con cui si commette l’infrazione è emerso che i più indisciplinati sono i conducenti delle berline: oltre il 64% non usa le frecce né per manovra di sorpasso né per quella di rientro. Si tratta di una percentuale ben superiore alla media globale pari al 50%. Ancora, tra le abitudini da perdere spicca il mancato utilizzo delle cinture di sicurezza da parte del conducente (10,6%) e soprattutto dei passeggeri posteriori (72,6%), nonché il mancato uso dei seggiolini per i bambini (46,8%). Mancato rispetto delle norme del codice della strada anche per quanto riguarda il superamento del limite di velocità nel 12,9% delle situazioni osservate su strada.