CUNEO - Movida in via Pellico, la difesa dei locali: “Per chi viene da fuori, Cuneo è una città morta”

Per le titolari del Chicken King e del bar Mirela il pm ha chiesto l’assoluzione. L’avvocato dei residenti: “Nessuna volontà di rivalsa contro di loro”

Andrea Cascioli 14/05/2024 19:58

Serviranno ancora sette giorni per arrivare alla sentenza nel caso che oppone ventisei residenti di via Silvio Pellico e piazzale Libertà alle titolari di due locali cuneesi, l’ex Chicken King’s Latino e il bar Mirela.
 
Le due donne, J.C. e M.S., sono accusate di disturbo della quiete pubblica nel biennio 2020-2021, a cavallo quindi tra la prima riapertura post Covid e il periodo subito successivo. Nel caso del fast food sudamericano, che oggi ha cambiato gestione, si contesta la mancata insonorizzazione dei locali e i rumori molesti provocati da una tv ad alto volume e dalle intemperanze di alcuni frequentatori. Col bar Mirela i vicini recriminano per le serate karaoke, che secondo i querelanti si sarebbero svolte senza le dovute accortezze nei confronti dei timpani e del diritto al riposo altrui.
 
La posizione dei residenti che hanno promosso la causa non è pero la stessa della Procura. A differenza di quanto era accaduto nei casi precedenti, riguardanti il Lucertolo’s di vicolo Quattro Martiri e gli ex Lavatoi, la pubblica accusa ha chiesto di assolvere le imputate perché, sostiene il pm, “nei limiti delle loro possibilità, hanno portato avanti un’attività lecita, forti dei permessi in deroga rilasciati dal Comune, e si sono attivate perché gli schiamazzi non arrivassero oltre una certa soglia”. Le repliche odierne sono rimaste perciò appannaggio della parte civile, patrocinata dall’avvocato Claudio Massa, e del difensore delle imputate, l’avvocato Aldo Serale. Per la legge, afferma il difensore del gruppo di abitanti della zona, nelle ore notturne basta un differenziale di tre decibel rispetto al normale rumore di fondo per scivolare nell’illegalità. Uno dei residenti del quartiere, docente di musica al Conservatorio, aveva misurato emissioni superiori ai 60 decibel nelle vicinanze del bar Mirela, a fronte di soli 38 decibel in un momento di quiete notturna.
 
Per quanto concerne il Chicken King’s, aggiunge il legale, “si percepivano dai piani di sopra anche vibrazioni. Cosa indirettamente confermata dalla sorella della titolare, la quale ha detto a giustificazione che i latini ‘più latini’ degli italiani hanno abitudine alla fragorosità”. Quanto alla mancata insonorizzazione, imputata a uno scarico di responsabilità del proprietario, non si giustifica l’aver “ignorato determinate caratteristiche del locale”: “Anche un televisore, portato alle sue estreme conseguenze sul profilo volumetrico, può essere produttore di emissioni superiori alla normativa”. Il “castigatore” della mala movida ha comunque precisato che da parte delle persone offese non c’è “nessuna volontà di rivalsa nei confronti delle due imputate”. La condanna al risarcimento ottenuta in sede penale nelle altre cause, sottolinea l’avvocato, è stata finora utilizzata solo come deterrente e mai messa in esecuzione: “Proprio per far comprendere agli esercenti che far rumore in danno dei vicini costa qualcosa e potrebbe costare qualcosa in più”.
 
Opposta, com’è ovvio, la posizione del difensore, il quale rileva innanzitutto che “gli interventi di polizia non hanno evidenziato alcuna problematica concernente il disturbo della quiete”. Anche nelle ultime sentenze, osserva l’avvocato Serale, la Cassazione pone come elemento per la sussistenza del reato “qualcosa di diverso dal mero superamento dei limiti del rumore, considerato un semplice illecito amministrativo”. Si richiede cioè un’“incidenza sulla tranquillità pubblica” che nel caso di specie non sarebbe stata lesa: “Le sentenze indicano anche che i rumori molesti devono essere reiterati, quotidiani, continuativi: il bar Mirela faceva un karaoke ogni quindici giorni”.
 
Nel processo si è affacciata la più ampia tematica del degrado della zona, testimoniata tra l’altro dalla decisione di togliere alcune panchine in via Pellico. Le panchine, ricorda il legale delle due esercenti, vennero rimosse a metà settembre del 2021, dopo che la denuncia era già stata presentata: “È stato detto da più parti che c’era una situazione di degrado, dipendente da persone che non erano sicuramente clienti dei locali e che stazionavano sulle panchine”. Oltre alla vicinanza con la stazione ferroviaria e al relativo via vai di persone non sempre “raccomandabili”. “Le imputate si sono adoperate affinché eventuali schiamazzi non arrivassero oltre certe soglie” conclude il difensore. Ma c’è anche, a suo giudizio, un tema di costume locale, per così dire: “Siamo a Cuneo, da sempre considerata una città abbastanza morta soprattutto per chi arriva da fuori”.

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