Quel giorno al bar My Way di Confreria non ci fu nessuna minaccia con il coltello puntato. Lo ha stabilito il giudice Francesco Barbaro assolvendo con formula piena il 31enne di Cuneo M.G., aiuto cuoco del locale.
La 49enne G.S., all’epoca titolare dell’attività, lo accusava di averle sventolato davanti al viso un grosso coltello da cucina durante una discussione avvenuta nel novembre 2017: “Tu sei obbligata ad assicurarmi il lavoro, ho un alloggio da mantenere. Non puoi lasciarmi a casa così” aveva detto il dipendente stando alla testimonianza della donna, confermata da quella del marito G.M. che affermava di aver assistito alla scena.
Secondo i due coniugi, la rabbia dell’uomo si sarebbe scatenata dopo che i datori di lavoro l’avevano informato della loro decisione di chiudere l’esercizio commerciale in cui lui era stato assunto due anni e mezzo prima. L’alterco avrebbe provocato più tardi un mancamento a G.S., già molto provata dai suoi problemi familiari.
Davanti al giudice l’ex aiuto cuoco ha negato con forza qualunque addebito. Nessuna minaccia, nessuna recriminazione, solo una discussione civile nel corso della quale lui aveva chiesto il pagamento di alcuni compensi mai saldati, preannunciando che se non li avesse ricevuti si sarebbe rivolto ai sindacati.
A seguito di questo annuncio, al contrario, sarebbe stato proprio il marito della titolare a minacciarlo di “rovinargli la vita per sempre” se avesse intentato una causa di lavoro. Cosa che M.G. ha comunque fatto, sostenendo tra l’altro di aver sempre ricevuto parte dei pagamenti in nero e coperto orari molto più lunghi di quelli previsti dal suo contratto part time.
L’altra barista presente nel locale ha affermato del resto di non essersi accorta di nessuna discussione nel locale attiguo e di aver visto M.G. uscire dalla cucina e attendere con calma l’arrivo della Polizia che lui stesso aveva chiamato, dopo essersi visto accusare dai due coniugi.
“O le persone offese denunciano un fatto che non esiste per potersi tutelare in un’ipotetica causa di lavoro, oppure la minaccia c’è stata” ha riassunto il pm Gianluigi Datta nella requisitoria, ammettendo l’assenza di riscontri oltre a quelli forniti dalla parte offesa. Tuttavia, “il fatto che l’imputato ci abbia parlato di pregressi problemi lavorativi spiega perché dovesse essere senz’altro alterato”: per questo il procuratore ha ritenuto sussistente il reato e chiesto tre mesi di condanna.
Per l’avvocato Giorgio Giacardi, difensore di M.G., “il dubbio instillato dallo stesso pubblico ministero che la persona offesa e il marito abbiano architettato un’accusa calunniosa” trova riscontro nelle testimonianze fornite dalla barista e da un’altra collega sia nel processo penale che in quello civile, tuttora in corso: “Nessuno ha mai visto M.G. minacciare la titolare con il coltello, sebbene il locale fosse piccolo, e nessuno parla di atteggiamenti aggressivi o violenti da parte sua in altre occasioni”.
La sua sarebbe quindi “la vicenda di una persona perbene che ha voluto far valere la propria innocenza”. Con pieno successo, potrà sostenere dopo il verdetto del giudice.