Quando il giudice gli aveva chiesto se fosse uscito di casa violando la sorveglianza speciale, lui si era giustificato così: “Dove sarei potuto andare in una città che ha telecamere ovunque, anche di fronte a casa mia?”. L’argomentazione dev’essere sembrata convincente, perché il pregiudicato 32enne A.N., originario di Napoli ma residente a Cuneo, è stato alla fine assolto dai fatti per cui era finito a processo.
L’imputato, già condannato a 4 anni e 6 mesi nel 2009 per traffico di stupefacenti, era stato colpito nel marzo 2017 dalla sorveglianza speciale, una misura di prevenzione che gli imponeva l’obbligo di rimanere a casa tra le 21 e le 7. Ad accertarsi che l’uomo fosse davvero nella sua abitazione del centro storico provvedevano i Carabinieri, presentandosi a orari non prestabiliti. Questo, almeno, fino alla notte del 12 settembre successivo, quando i militari sostengono di essere arrivati verso l’una senza trovare traccia dell’ex detenuto. Dopo aver suonato tre o quattro volte e chiamato al telefono a più riprese, gli uomini della pattuglia erano rientrati in caserma notificando la violazione degli obblighi.
A.N. ha invece assicurato di non essersi mai allontanato dal suo domicilio: “Non ho sentito il telefono squillare e nessuno mi ha citofonato. Ma sono sempre rimasto in casa mia, stavo solo dormendo”. Insieme a lui ci sarebbero stati anche la sua compagna (identificata con qualche difficoltà dall’uomo, che si era giustificato dicendo “in quel periodo ne ho cambiate diverse”), il fratello e due amici di quest’ultimo. Nel corso dell’udienza conclusiva è stato ascoltato come testimone proprio il fratello di A.N., che ha confermato la versione difensiva pur mostrando a sua volta qualche incertezza sull’identificazione della ragazza e non menzionando gli altri due amici che sarebbero stati presenti.
Non convinto, il pubblico ministero ha chiesto la condanna a quattro mesi di arresto. Il giudice Anna Gilli ha invece prosciolto dalle accuse l’imputato: reo, in definitiva, solo di essere ‘evaso’ nei territori del sogno.
L'avvocato Giuseppe Cosentino, difensore di A.N., plaude alla decisione presa alla luce delle risultanze dibattimentali: "L'imputato stava dormendo, non poteva sentire il campanello: lo dice la logica prima ancora della testimonianza resa dal fratello".