Arriveranno a fine marzo i risultati dei test del Dna nell’ambito dell’indagine sull’omicidio di Nada Cella, la segretaria massacrata nel maggio 1996 a Chiavari nello studio del commercialista Marco Soracco, dove lavorava. La richiesta di proroga, anticipata alcuni giorni fa, è stata presentata dal genetista Emiliano Giardina, incaricato di analizzare i reperti trovati. La scadenza iniziale era per fine febbraio. Anche la Procura chiederà uno slittamento dei termini per le indagini.
Al laboratorio di genetica della Polizia Scientifica di Roma sono state consegnate, lo scorso novembre, alcune parti dello scooter sequestrato ad Annalucia Cecere, la principale indiziata del delitto. Classe 1968, cresciuta a Chiavari ma residente da più di venticinque anni nella Granda (vi si trasferì pochi mesi dopo l’omicidio), la ex insegnante di scuola elementare è finita sotto la lente degli investigatori dopo la riapertura ufficiale delle indagini.
A suo carico pesano gli elementi raccolti dalla criminologa Antonella Delfino Pesce e dall’avvocato della famiglia Cella, Sabrina Franzone, grazie ai quali si è potuto riprendere in mano un fascicolo ormai chiuso.
Si sa che la Cecere, all’epoca addetta alle pulizie in uno studio dentistico, conosceva il datore di lavoro di Nada Cella, Marco Soracco: risiedeva, peraltro, a poche decine di metri di distanza dallo stabile di via Marsala 14, sede dell’abitazione e dello studio del commercialista. Nelle prime settimane di indagini i carabinieri raccolsero la deposizione di una vicina di casa dell’allora 28enne. La donna affermava di averla sentita parlare con astio di Nada Cella, poco tempo prima del brutale omicidio. Anche un’anonima testimone, conoscente della Cecere e protagonista di una serie di telefonate tra il maggio e l’agosto del 1996, indicava nella gelosia verso la segretaria il possibile movente dell’omicidio. La “signorina” - così si qualificava l’autrice delle chiamate, ricevute anche dalla madre di Soracco - affermava di aver visto Annalucia “tutta sporca” di fianco al suo motorino, parcheggiato all’angolo di via Marsala, la mattina dell’omicidio.
Il motorino è lo stesso che la Cecere ha portato con sé dopo essersi trasferita a Cuneo e che gli inquirenti hanno sequestrato lo scorso agosto, nel box della sua abitazione alla Mellana di Boves. “Il motorino era in garage, l’ha usato mio figlio per tre o quattro anni” ha spiegato Lorenzo Franchino, il marito della sospettata, intervistato dagli inviati della trasmissione di Rete Quattro Quarto Grado. Franchino precisa che sarebbero stati proprio loro a segnalare agli inquirenti la presenza dello scooter. Su di esso l’esame delle luci forensi, condotto in Questura a Cuneo, ha evidenziato la presenza di tracce di sangue.
Anche per questo c’è una spiegazione, afferma l’uomo, titolare insieme al fratello di un’azienda di autotrasporti: “Mio figlio è scivolato, c’è volato una notte con quel motorino lì: ha messo male il piede, se lo è frantumato”. In merito a quella vicenda, vecchia di ormai un quarto di secolo, ricorda di aver saputo “qualcosina” da sua moglie ma di non aver mai approfondito la questione, finché gli agenti di polizia genovesi sono venuti a bussare alla sua porta. Nel 1996 Annalucia Cecere fu indagata per pochi giorni: i carabinieri che avevano raccolto la deposizione della vicina eseguirono una perquisizione a casa sua, sequestrando cinque bottoni e alcuni articoli di giornale ritagliati che parlavano dell’omicidio di via Marsala. I bottoni erano simili ad uno ritrovato sul luogo del delitto, riportante l’iscrizione “Great Seal of the State of Oklahoma”, se non per il fatto che a quest’ultimo mancava una ghiera in plastica. Gli accertamenti, comunque, finirono lì: la Cecere uscì presto dalle indagini e si trasferì, completando gli studi magistrali mentre lavorava. Poi si stabilì nella campagna di Boves, insieme al marito e al figlio nato dalla loro unione.
Non ci sono solo i reperti trovati sul motorino al vaglio degli esperti. Si stanno analizzando anche i campioni, tra cui una decina di capelli, che nel 2011 vennero raccolti dopo una prima riapertura dell’inchiesta, per vagliarne la corrispondenza con i profili genetici di Marco Soracco, della madre Marisa Bacchioni e di Luciana Signorini, una donna con problemi psichici che risiedeva nel palazzo. Una campionatura sulla camicetta di Nada, in particolare, restituì un profilo misto riferibile ad almeno due individui di sesso femminile, di cui uno solo compatibile con il Dna della vittima: sta qui, forse, la chiave per la soluzione del mistero.