Secondo gli inquirenti la sua attività era paragonabile in tutto e per tutto a quella di un coordinatore aziendale: a lui spettava il compito di trovare gli alloggi in b&b e agriturismi della zona, organizzare gli spostamenti e guidare chi veniva da fuori provincia. Senonché quel genere di “azienda” operava in un settore molto particolare, quello dei furti in abitazione.
Per questo K.P., albanese residente a Busca, si è trovato sotto processo per concorso in una serie di furti commessi nel Saluzzese durante il 2017. Tutto era partito da un’operazione dei carabinieri del NORM di Saluzzo che aveva portato in manette due pregiudicati suoi connazionali. Nel tardo pomeriggio del 13 dicembre di cinque anni fa, la Volkswagen Polo su cui viaggiavano a fari spenti era stata segnalata a Lagnasco. Insospettito dai movimenti di quell’auto, un cittadino aveva avvisato una pattuglia dell’Arma. Prima che i militari potessero controllarli, due dei quattro occupanti si erano dati alla fuga attraverso i campi, liberandosi di gioielli in oro e argento rubati poco prima in tre diverse abitazioni. L’autista del mezzo e uno dei passeggeri, invece, erano stati bloccati prima che potessero dileguarsi.
Quello che i malviventi non potevano sapere è che le loro utenze telefoniche erano già sotto controllo da tempo. Ne ha parlato in tribunale l’allora comandante del nucleo investigativo provinciale Giampaolo Canu: “Quella sera K.P. era stato raggiunto dapprima da una chiamata muta, dove si percepiva il rumore di una persona che corre. Poco dopo era stato lui a richiamare e quella persona lo aveva avvisato che stava scappando”. Nel tentativo di raggiungere i due fuggitivi, l’uomo sarebbe uscito di casa per perlustrare l’area insieme a un altro albanese: “Nell’ultima telefonata uno dei fuggitivi afferma di essere riuscito a trovare un passaggio, sull’auto di due ragazzi che lo credevano coinvolto in un incidente, avvenuto poco prima a Falicetto. Poi, intorno alla mezzanotte, in due dicono di essere davanti a casa sua a Busca”.
Oltre a offrire ospitalità agli “amici” dopo quella rocambolesca fuga, K.P. avrebbe agevolato in vari modi la commissione dei furti già in precedenza: “Due dei complici avevano trovato alloggio a Dronero, erano K.P. e altri ad accompagnarli”. A un certo punto il proprietario, insospettitosi, aveva chiesto i documenti a uno dei due: una richiesta che aveva ingenerato timore negli albanesi. Proprio in quei giorni, tra l’altro, a Dronero si era verificato un furto nel corso del quale erano state sottratte due pistole: “L’imputato si lamentava con un connazionale che queste persone si fossero spaventate troppo facilmente, diceva anche che il suo aiuto non veniva apprezzato”.
Emerge, a detta del pubblico ministero Anna Maria Clemente, una condotta “non episodica” finalizzata a garantire appoggio al sodalizio criminale: “Si tratta di un unico gruppo all’interno del quale si sono formate le varie squadre: l’obiettivo comune sono i furti in abitazione”. Per l’imputato la Procura aveva chiesto la condanna a sei anni di carcere e mille euro di multa. “Dall’istruttoria non emerge che si sia adoperato per assicurare rifugio ai fuggitivi” ha ribattuto per la difesa l’avvocato Shelley Delpiano: “Non c’è una sola conversazione in cui inviti gli altri a venire da lui, a detta degli stessi carabinieri. Il fatto che l’interlocutore gli dicesse ‘apri la porta, sono sotto’ non implica che gli sia stata offerta ospitalità”.
Il giudice Marco Toscano, previa riqualificazione del reato nella fattispecie più lieve del favoreggiamento, ha condannato l’albanese a nove mesi di carcere.