Un’autentica e morbosa ossessione, motivata dal falso convincimento che quella donna - mai vista né conosciuta - fosse l’amante del compagno con cui aveva vissuto per quasi vent’anni. C’è questo alla base del processo e della condanna per stalking di una donna di origini peruviane residente a Bernezzo, Z.P., denunciata da una caragliese che aveva perseguitato per mesi tra il 2019 e il 2020.
Dalle lettere anonime si è passati agli appostamenti, poi ai cartelli con ingiurie e accuse affissi sul cancello dell’abitazione della presunta “rivale”, o sulle auto dei vicini. Infine addirittura a un inseguimento in auto ai danni dell’ex marito e della figlia della caragliese: “Sosteneva che mia madre avesse avuto una relazione con il suo compagno. In più occasioni è venuta sotto casa urlando ingiurie” ha raccontato la ragazza. Da cosa abbiano avuto origine quei sospetti, nessuno è stato in grado di dirlo. L’imputata non si è presentata in aula, lo ha fatto invece l’ex convivente, parlando dei gravi traumi subiti da lei: l’abbandono da parte della madre, una gravidanza durante l’adolescenza, poi l’arrivo in Italia e un matrimonio fallito. “Ho provato di tutto per aiutarla, l’ho anche accompagnata da un terapeuta ma lei ha presto interrotto le sedute” ha spiegato il testimone: “Abbiamo convissuto per diciotto anni. Era ossessionata dall’idea che avessi una relazione: ce l’ha con le bionde in particolare, perché l’ex marito era scappato con una donna bionda”.
Per convincerla che tra lui e “l’altra” non c’era alcun rapporto personale, l’uomo si era anche offerto di accompagnarla a casa della presunta amante: “Ho incontrato un vicino di casa della donna, mio conoscente, il quale ha smentito di avermi mai visto in quell’abitazione”. Neppure questo, però, era bastato a far svanire le ossessioni di Z.P.: “Diceva di avermi visto entrare in quella casa una sera, ma non è vero”. All’imputata si contesta anche di aver inviato messaggi personali sia alla persona offesa che alla figlia e all’ex marito di lei, utilizzando l’account Facebook del suo compagno dell’epoca, ignaro di tutto. Oltre alle testimonianze di diversi amici e vicini, al corrente di quanto stava accadendo, hanno pesato i riscontri raccolti dalle forze dell’ordine. In particolare, il fatto che la peruviana fosse stata identificata al termine dell’inseguimento in auto e in un paio di occasioni sotto l’abitazione della persona offesa. A casa sua, durante una perquisizione, erano stati sequestrati nastri analoghi a quelli utilizzati per fissare i cartelli ingiuriosi. Per tutte queste ragioni la Procura aveva chiesto e ottenuto il divieto di avvicinamento.
Il sostituto procuratore Francesca Lombardi, all’esito dell’istruttoria, ha chiesto per l’imputata la condanna un anno e sei mesi di reclusione con la misura di sicurezza. Una richiesta, ha spiegato la rappresentante dell’accusa, già mitigata dal vizio di mente riconosciuto dal perito: “Era comunque capace di intendere e di volere al momento dei fatti e sussiste la pericolosità sociale”. L’avvocato Paolo Verra rappresentava sia l’autrice della prima denuncia sia il suo ex marito: “Parliamo di eventi premeditati e costruiti nel tempo: non si può affermare che fosse incapace d’intendere o che avesse singoli momenti di ‘blackout’. Sulle sue capacità non ci sono dubbi, lo prova il fatto che le condotte persecutorie siano cessate dopo la misura cautelare”. “Siamo di fronte a due vittime, una di un reato e l’altra della società” ha sostenuto l’avvocato difensore Mario Bovetti: l’imputata, ha aggiunto, è “una persona che nella vita ha sofferto tantissimo, che ha subito danni che non è stata in grado di curare e di cui soltanto nell’ultimo periodo ha preso coscienza”.
Il giudice Sandro Cavallo ha condannato Z.P. alla pena di otto mesi di reclusione, sostituiti da un anno e quattro mesi di libertà controllata. All’imputata è stata applicata la libertà vigilata con l’obbligo di sottoporsi a cure psichiatriche per un anno. Dovrà inoltre risarcire con 6mila euro la persona offesa e con ulteriori 1500 euro il suo ex marito.