Il sostituto procuratore Pier Attilio Stea lo ha descritto nella requisitoria come “un soggetto alla ricerca di soldi facili”. Il somalo A.D., classe 1993, è oggi in carcere per reati contro il patrimonio, commessi nello stesso periodo della rapina ai danni di un giovane borgarino per la quale è stato condannato insieme a un complice.
Quest’ultimo è J.H.O., cittadino colombiano, classe 1994. Secondo gli inquirenti i due erano assieme la notte del 2 novembre 2018: in largo Argentera, nel centro di Borgo San Dalmazzo, avevano incrociato un diciottenne che si accingeva a tornare a casa dopo una serata in discoteca. Il ragazzo ha raccontato di essere stato avvicinato da un uomo di colore: “L’ho visto venirmi incontro, mentre un altro passava più vicino alle auto parcheggiate. Mi ha chiesto di prestargli il cellulare per una chiamata, gli ho risposto di no perché avevo fretta di tornare a casa: lui mi ha detto che sono un razzista e mi ha afferrato per un braccio”.
A quel punto, mentre il diciottenne digitava un numero sotto dettatura, l’uomo gli aveva portato via il cellulare e si era dato alla fuga. Il derubato si era lanciato al suo inseguimento ma era stato raggiunto dal complice che lo aveva colpito alle spalle con calci e pugni. In suo soccorso, quando il derubato era ormai stato sopraffatto da entrambi i rapinatori, era sopraggiunto un esercente egiziano, titolare di un ristorante kebab della zona, che aveva messo in fuga i due aggressori e ne aveva rincorso uno, trattenendolo fino all’arrivo dei carabinieri. Il fermato era stato identificato nella persona di J.H.O. e riconosciuto dalla vittima, refertata con 15 giorni di prognosi per le contusioni riportate, come il presunto complice di chi gli aveva sottratto l’iPhone del valore di 900 euro.
All’identificazione di A.D. si era giunti tramite i tabulati telefonici del colombiano e la testimonianza di un conoscente, che affermava di aver saputo dal somalo della sua partecipazione alla rapina. Il testimone ha ritrattato in tribunale l’intera deposizione, motivo per cui i giudici hanno disposto la trasmissione degli atti in Procura per l’eventuale contestazione del reato di falsa testimonianza. Nello stesso mese A.D. sarebbe poi stato denunciato anche per un furto commesso presso un negozio di telefonia in corso Brunet, a Cuneo. In quell’occasione a riconoscerlo dalla voce era stato uno dei due titolari, che lo conosceva con l’appellativo di “Amo”. Dalla visione delle immagini della telecamera, A.D. era stato individuato mentre nascondeva in tasca un cellulare lasciato in esposizione.
Il pubblico ministero ha chiesto per lui la pena più pesante, quantificata in dieci anni e cinque mesi di carcere, anche alla luce dei numerosi precedenti specifici: “È un immigrato di seconda generazione cresciuto in una famiglia integrata, si è sposato e ha una figlia: ciononostante ha scelto di delinquere”. A carico di J.H.O., coimputato per la rapina impropria e le lesioni al diciottenne e successivamente resosi irreperibile, la pena richiesta era di cinque anni e sei mesi. La difesa di quest’ultimo, rappresentata dall’avvocato Luisella Cavallo, aveva sostenuto la “totale estraneità” del 27enne colombiano ai fatti, in base a quanto dichiarato dalla persona offesa: “Riferisce di aver incrociato due individui di colore in corso Barale, ma i due si sarebbero poi separati e solo uno lo ha derubato del telefonino. Non si può sostenere che abbiano agito in accordo”. Per l’avvocato Stefano Barzelloni, difensore di A.D., in riferimento all’episodio della rapina “è lecito chiedersi quale attendibilità ci sia stata nell’identificazione da parte della persona offesa. Non ci sono altri riscontri, perché dai filmati non si vede niente, nemmeno il colore della pelle dei soggetti”.
I giudici hanno accolto le richieste della Procura condannando A.D. ad otto anni per la rapina e le lesioni più ulteriori sei mesi per il furto in negozio. A carico di J.H.O. la pena è stata quantificata in cinque anni e sei mesi.