“Il dato di fatto è che si è risparmiato: tranne l’Anas, cioè Pantalone, che ha pagato per tutti”: si potrebbero condensare in questa frase le due ore e mezza di requisitoria che il procuratore capo di Cuneo, Onelio Dodero, ha tenuto stamani a conclusione del processo per i furti sul cantiere del Tenda bis.
Una ricostruzione minuziosa, quella dell’accusa. Si fa leva su pagine e pagine di intercettazioni, testimonianze, documenti su ciò che avveniva a Limonetto e dintorni. Secondo la Procura, tra il gennaio 2014 e il maggio 2017
sarebbero state sottratte almeno 212 tonnellate di ferro: le centine, pagate 850 euro alla tonnellata in cantiere, rivendute in nero a prezzi irrisori. Il guadagno dell’operazione è stato stimato in oltre 23mila euro solo per i carichi che i finanzieri sono riusciti a tracciare, ma si ritiene che possa essere in realtà superiore ai 100mila. Soldi che sarebbero finiti nelle tasche del direttore tecnico Antonino Froncillo, dei capocantiere Giuseppe Apone e Antonio Palazzo e degli operai Luigi Mansueto e Nunziante De Rosa. Tutti dipendenti della Grandi Lavori Fincosit, l’azienda che nel 2013 si era aggiudicata l’appalto per il raddoppio del valico, attraverso la società consortile Galleria di Tenda scarl.
“Io col ferro ci guadagno” dice l’ingegner Froncillo in una delle telefonate intercettate.
In aula ha spiegato:
“Mi riferivo ai ricavi che Fincosit aveva dall’Anas, non a miei guadagni personali”. Ma dal quadro più ampio delle conversazioni emergerebbe a detta degli inquirenti un’altra realtà:
“Avete venduto tonnellate e tonnellate di ferro e mai una cena” lamenta il contabile dell’azienda Sergio Scarpelli. Lo stesso che in un’altra telefonata polemizza con un interlocutore estraneo ai fatti:
“Sta settimana Froncillo quanti soldi si è messo in tasca?”. Un certo Carlo, sempre al telefono, sconsiglia a Scarpelli di far acquistare e lasciare in cantiere le porte tagliafuoco, perché verrebbero rubate:
“I ladri ce li hai dentro casa”.
Al di là delle voci, argomenta Dodero, un dato inconfutabile è che sul cantiere si smaltiva anche materiale nuovo: prodotti inutilizzabili, sostengono le difese, per via delle difficoltà e degli imprevisti che emergevano durante gli scavi. “L’imprevisto è un’eccezione remota, se capita in continuazione non è più un imprevisto” replica il pubblico ministero, che aggiunge: “Perché le componenti non utilizzate in un certo momento non si sarebbero potute utilizzare in seguito? Erano tutti materiali a scadenza, compresi i tondini?”. La gestione del cantiere da parte di Fincosit avrebbe assunto caratteristiche di “anarchia assoluta”, come dimostrano perfino le parole degli indagati. L’operaio Mansueto, in interrogatorio, aveva ammesso che “nessuno teneva il conto delle centine smaltite” e che più volte gli era capitato di lamentarsi “perché mancava il ferro”. Meno male che si parla di grandi opere, ironizza - amaramente - il rappresentante dell’accusa.
Fin dall’ottobre del 2016 c’è però chi esprime sconcerto per questo modo di procedere. A De Rosa uno degli operai dice: “Venerdì è arrivato un carico di ferro, in Italia [il cantiere aveva anche un versante francese, ndr]. Vedi se riesci a capire dove l’hanno messo perché ho fatto un giro e non ho trovato niente”. Tre giorni dopo quella telefonata, lo stesso De Rosa è al volante di un camioncino carico di ferro da smaltire. Il capocantiere Palazzo lo chiama e gli intima “non ci andare adesso, hai capito?”. Sulla strada della val Vermenagna, ricorda Dodero, c’era ad attenderlo una pattuglia della Guardia di Finanza. Una delle intercettazioni più emblematiche è quella raccolta il 7 febbraio 2017 tra Nunzio De Rosa e un autista della De Mitri di Collegno, l’azienda che almeno ufficialmente si occupava degli smaltimenti ferrosi: “Carichiamo prima le centine, poi completiamo con il mucchio. E ci mettiamo i rifiuti sopra” dice l’operaio all’autista.
Se in cantiere a detta del pubblico ministero “succedeva di tutto”, succede anche che Froncillo venga visto incontrarsi con De Mitri in un autogrill e ricevere una busta con 1400 euro. Soldi che gli erano dovuti in pagamento di una multa da 3100 euro saldata di tasca sua, sostiene l’ingegnere. Falso, replica il procuratore, perché la sanzione era stata pagata dall’azienda: “Non è tanto la sottrazione di materiali o l’indebito arricchimento. È che questa depredazione è ai danni di un’opera pubblica”.
Dopo la requisitoria è stato il turno delle difese di parte civile, l’Anas rappresentata dall’avvocato Giulio Calosso e il Comune di Limone Piemonte con l’avvocato Emiliano Riba. La società appaltatrice ha chiesto il riconoscimento di una provvisionale di 20mila euro in caso di condanna, mentre il Comune ha quantificato il danno subito nella cifra di 400mila euro per ciascun anno di blocco del cantiere, a partire da maggio 2017. Per conto del responsabile civile Fincosit, l’avvocato Alessandra Testuzza ha respinto entrambe le richieste: “Per la tipologia di appalto e le imputazioni contestate l’unico danneggiato è semmai la società Galleria di Tenda, non l’Anas né il Comune di Limone Piemonte”.
Il procuratore ha formulato richieste di condanna a carico di tutti gli imputati. Per Antonino Froncillo sono stati chiesti complessivi sette anni e 3100 euro di multa per i reati di furto e detenzione illecita di materiale esplosivo, più tre mesi di arresto per le violazioni ambientali connesse allo smaltimento dello smarino. Per Antonio Palazzo sei anni e dieci mesi e 2900 euro di multa, mentre a carico di Luigi Mansueto la richiesta di pena ammonta a cinque anni e sei mesi più 1800 euro di multa per gli stessi reati (furto e detenzione di esplosivo). Al primo capocantiere del Tenda bis, Giuseppe Apone, era contestato il solo reato di furto, così come a Nunziante De Rosa: le richieste di condanna sono quantificate rispettivamente in quattro anni, sei mesi e 900 euro di multa per il primo e cinque anni più 1500 euro di multa per il secondo.
Il prossimo 7 dicembre comincerà la discussione dei difensori degli imputati.