CUNEO - Punizioni violente alle figlie e presunti abusi sessuali: alla sbarra una coppia di genitori

La denuncia è arrivata dalla figlia minore, contro l’uomo anche accuse di pedofilia da un nipote. “È una vendetta” affermano le difese

Andrea Cascioli 12/06/2024 18:45

Una coppia di genitori alla sbarra, con la più infamante delle accuse: maltrattamenti alle figlie, per entrambi. Per il padre, qualcosa di ancora peggiore: episodi di violenza sessuale contro due dei suoi fratelli da bambini, e più avanti contro uno dei nipoti e altre presunte piccole vittime.
 
La denuncia contro di loro, residenti in un piccolo centro tra Cuneo e Mondovì, è arrivata dalla minore delle due figlie, poco più che ventenne, nel 2020. Anche la figlia maggiore, però, avalla le accuse della sorella, che si è costituita parte civile contro mamma e papà, difesa dall’avvocato Monica Anfossi. Lo stesso ha fatto il cuginetto, indicato come vittima delle molestie. Per l’uomo il pubblico ministero ha chiesto una condanna pesantissima, sebbene gli episodi più vecchi siano ormai prescritti: sedici anni di carcere. Per la moglie, se ne domandano sei. Lei, sostiene l’accusa, sarebbe stata al corrente di quei sussurri che in casa del marito correvano già da tempo. Tanto da annotare in uno dei suoi diari la parola “pedofilo”, di fianco al nome del compagno di una vita.
 
Quei diari sono una prova regina, sostiene il sostituto procuratore Alessia Rosati, perché da essi emerge “la profonda idealizzazione del marito e l’anaffettività nei confronti delle figlie, che vengono chiamate ‘le tipe’”. Si legge delle punizioni, dello scetticismo verso gli attacchi di panico di cui la figlia aveva iniziato a soffrire, dall’età di tredici anni: “Venivano definiti ‘sceneggiate’”. La ragazza sostiene di essere stata vessata fin dalla prima infanzia, da una mamma che la chiamava “strega”, perché concepita la notte di Halloween. Anche la sorella lamenta punizioni eccessive: “Venivo colpita con mani, piedi e oggetti. A volte chiusa in cantina, o fuori casa di notte, per mezzora o più, perché non volevo mangiare la cena”.
 
Poi c’è il sospetto più tremendo, di cui la donna avrebbe sentito parlare in casa dei suoceri. L’accusa di pedofilia è avvalorata dalla testimonianza di uno dei fratelli: “Io avevo otto o dieci anni, ero tre anni più piccolo di lui. Dormivamo insieme nel letto matrimoniale, lui voleva toccarmi le parti intime. Ci è riuscito, più volte. Io poi ho voluto cambiare letto”. Un racconto non diverso da quello reso dal nipote, in questura, ma anche da altri due ragazzini, figli di parenti o amici di famiglia. “Giocavo con i bambini, ma non mi sono mai spinto oltre un abbraccio amichevole” ribatte l’accusato. Lui agricoltore, lei casalinga, una vita normale: mai nessun problema con i vicini, o precedenti di qualche tipo. Non ci stanno a passare per una coppia di mostri e sostengono che la realtà sia molto diversa: la figlia “ribelle”, arrabbiata perché i genitori non volevano più sovvenzionare il locale che aveva aperto con il fidanzato, si sarebbe vendicata in modo atroce.
 
È la versione ritenuta più credibile dagli avvocati Roatis e Brandi, per i quali “tutta la tesi accusatoria si basa sul narrato della figlia minore”. La ragazza “parla di maltrattamenti costanti, punizioni esemplari, botte: non c’è mai evidenza di un livido o di un riscontro oggettivo. È stato evidenziato da tutti come la famiglia fosse partecipe del malessere della figlia: i genitori l’hanno portata più volte al pronto soccorso, si sono fatti carico delle cure e informati”. Perfino nei famosi diari della madre “si legge spesso e volentieri di come lei si interrogasse su come aiutare la figlia e si aggiornasse con le psicologhe”. E le accuse degli altri membri della famiglia? Indotte anche quelle dalla figlia, dice la difesa: “Prima di presentare la querela, si è presentata da tutti i due rami della famiglia per raccontare la storia, arricchendola di particolari. Ma fino al momento della querela la famiglia era unita, e lei frequentava regolarmente i genitori che avevano contribuito non poco alla crescita economica e lavorativa della figlia”. Finché “di fronte al rifiuto degli imputati di continuare a contribuire, i rapporti si sono deteriorati, con tanto di minaccia ai genitori di ‘fargliela pagare’”. Il prossimo 10 luglio i giudici emetteranno la loro sentenza.

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