CHIUSA DI PESIO - Reddito di cittadinanza senza requisiti, assolta una cittadina marocchina

La donna, sposata con un italiano, non aveva ancora maturato i dieci anni di residenza in Italia: “Ma il suo percorso di vita l’ha legata al Paese” sostiene la difesa

Andrea Cascioli 21/10/2024 16:55

Nella selva di illeciti - veri o presunti - contestati a chi avrebbe approfittato del reddito di cittadinanza, uno dei più comuni è l’insussistenza del requisito che imponeva agli stranieri una permanenza “stabile” in Italia.
 
Il legislatore aveva fissato in dieci anni di residenza legale la soglia al di sotto della quale non era possibile considerare accettabili le domande per accedere al beneficio. Nel caso di una donna di origine marocchina, residente a Chiusa Pesio, il tribunale di Cuneo ha comunque ritenuto insussistente il reato di falsa dichiarazione. Forse perché la signora, compilando la domanda, non aveva in realtà dichiarato di essere residente da più tempo. Sull’indagine a suo carico, portata avanti prima dalla Polizia di Stato e poi dalla Guardia di Finanza di Cuneo, ha riferito in aula il sovrintendente Luigi Matteo Mascarino. È emerso che la donna aveva inoltrato due domande, nel 2019 e nel 2020, presso un patronato e un ufficio postale. Dai documenti risulta che fosse residente in Italia dall’ottobre del 2011, ma già l’anno prima aveva ottenuto il permesso di soggiorno e nel 2008 aveva sposato un italiano.
 
“È un caso di indebita percezione in cui il richiedente ha un po’ ‘arrotondato’ i requisiti: si chiedevano dieci anni di residenza e lei non li aveva, sebbene per poco” ha sintetizzato il pubblico ministero Raffaele Delpui. Per la Procura però “non rileva che in precedenza fosse già sposata con un italiano, se poi non aveva radicato la sua presenza in territorio italiano. La dichiarazione è formalmente falsa e il beneficio è stato richiesto senza i presupposti necessari”. Di qui la richiesta di condanna, quantificata in un anno e quattro mesi a pena sospesa. Il difensore dell’imputata, l’avvocato Giulio Fumero, ha rilevato invece che il percorso di vita della donna, a cominciare dal matrimonio, “l’ha legata, al di là del dato burocratico meramente certificativo, al nostro Paese”. Nel presentare la domanda, lei avrebbe dato rilievo a questa circostanza.
 
Il giudice Emanuela Dufour ha pronunciato sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste. Pochi giorni fa, in un caso analogo, un altro giudice del tribunale aveva assolto una rumena residente a Borgo San Dalmazzo perché il fatto non costituisce reato: in quella vicenda il presunto illecito era più grave, perché alla beneficiaria si contestava il mancato possesso dei requisiti economici (aveva infatti omesso di dichiarare che suo marito aveva lavoro e reddito). Sul reddito di cittadinanza si è formato un vuoto legislativo a seguito dell’abrogazione del sussidio: i giuristi, di conseguenza, hanno dovuto “arrangiarsi” da soli. C’è chi ritiene che con l’abrogazione del sussidio sia cessata anche l’offensività della condotta: in altre parole, non esistendo più la legge ha cessato di esistere il reato, in modo retroattivo. Per altri giudici tuttavia la “sanatoria” non è automatica e gli eventuali illeciti vanno comunque puniti.

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