Nuovi accertamenti della Procura Generale di Milano sul caso di Bruno Caccia, il magistrato ucciso a Torino per mano della ‘ndrangheta il 26 giugno 1983.
Il procuratore generale Francesca Nanni, secondo quanto si è appreso dall’Ansa, ha raccolto oggi le dichiarazioni di Rocco Schirripa, che per l’omicidio è stato condannato in via definitiva all’ergastolo il 20 febbraio 2020. La Procura Generale di Milano ha da tempo un fascicolo relativo ad accertamenti supplementari.
Nato a Cuneo il 16 novembre 1917, da una famiglia con una lunga tradizione in magistratura che annoverava anche un procuratore generale della Cassazione, Caccia studiò in città fino al ginnasio. In seguito seguì gli spostamenti del padre magistrato a La Spezia e poi ad Asti, dove conseguì la maturità. Laureato in giurisprudenza e in scienze politiche, iniziò a sua volta la carriera nei ranghi della magistratura nel 1941, prendendo servizio presso la procura di Torino. A soli 42 anni fu nominato procuratore della Repubblica ad Aosta, poi tornò a Torino come sostituto nel 1972: sarà lui a raccogliere le dichiarazioni di Patrizio Peci, il primo pentito delle Brigate Rosse, firmando la richiesta di rinvio a giudizio di 70 brigatisti, tra cui i capi del cosiddetto “nucleo storico” Renato Curcio, Alberto Franceschini e Prospero Gallinari.
Il 27 febbraio del 1980 Caccia assunse la funzione di procuratore della Repubblica di Torino. Nella città che si stava lasciando alle spalle gli anni di piombo si erano insediate, come in altre parti del nord Italia, alcune famiglie della criminalità organizzata siciliana e calabrese. Il nuovo procuratore portò alla luce le connessioni delle cosche con soggetti a servizio dello Stato, come nell’indagine a carico del dottor Germano Oseglia, medico del centro clinico ospedaliero delle carceri giudiziarie, che dietro pagamento rilasciava falsi certificati ai detenuti affiliati ai clan per ottenerne la scarcerazione. Altre inchieste importanti toccheranno il contrabbando dei petroli, le tangenti e il riciclaggio di denaro sporco tramite i casinò del nord Italia.
Domenica 26 giugno del 1983 Bruno Caccia, come era solito fare, concesse un giorno di riposo alla propria scorta. Intorno alle 23,30, mentre portava a passeggio il proprio cane in via Sommacampagna, viene affiancato da una macchina (una Fiat 128 di colore verde) con almeno due uomini a bordo. Verrà raggiunto da 14 colpi, alcuni esplosi a distanza ravvicinata. Le indagini si indirizzarono dapprincipio sulle Brigate Rosse, poi sui neofascisti dei Nar. L’imbeccata giusta arriverà da un mafioso in carcere, Francesco Miano, boss del clan dei catanesi insediato a Torino. Grazie all’intermediazione dei servizi segreti Miano decise di collaborare e raccolse le confidenze del compagno di detenzione Domenico Belfiore, uno dei capi della ‘ndrangheta di Torino. Belfiore ammise il coinvolgimento dei calabresi nel delitto, riconducendo la decisione al fatto che “con il procuratore Caccia non ci si poteva parlare”. Nel 1992 Belfiore venne quindi condannato all’ergastolo.
Il 22 dicembre 2015 la DDA di Milano ha arrestato anche l’autore materiale dell’assassinio di Bruno Caccia: si tratta di Rocco Schirripa, panettiere calabrese di 62 anni, immigrato a Torrazza Piemonte. Il 17 luglio 2017 Schirripa è stato riconosciuto colpevole e condannato in primo grado all'ergastolo, pena poi confermata il 14 febbraio 2019 in appello e nel 2020 in Cassazione. Il supplemento d’indagine scaturito dalle sue recenti dichiarazioni verrà portato avanti dal pg di Milano Francesca Nanni, per otto anni alla guida della Procura di Cuneo.