La denuncia da parte dei Forestali di Ceva era scattata dopo una perquisizione: in casa di Antonio Colonna, nome noto dell’attivismo animalista, erano stati rinvenuti lampeggianti blu, due palette segnaletiche in uso alle forze di polizia e placche investigative che riconducevano ad attività di vigilanza faunistico-venatoria (i distintivi riportavano scritte come 'polizia ambientale' e 'vigilanza venatoria').
Colonna era stato in passato una guardia zoofila autorizzata per conto di tre diverse associazioni ambientaliste, ma al momento della perquisizione aveva già restituito il suo decreto di nomina da anni. Dopo le verifiche in Prefettura, l’uomo era stato quindi indagato e poi rinviato a giudizio davanti al tribunale di Cuneo per possesso di segni distintivi contraffatti.
Il 44enne, torinese di origine ma residente per diversi anni a Fossano, è stato un collaboratore di due parlamentari noti per il loro impegno in difesa dei diritti animali, la forzista Michela Brambilla prima e il grillino Paolo Bernini poi. Ma è anche un volto piuttosto noto in televisione, dove è comparso in più occasioni al fianco dell’inviato di Striscia la Notizia Edoardo Stoppa. Fu da una sua incursione che nel 2011 partì l’inchiesta sullo scandalo di Green Hill, l’allevamento bresciano di beagle destinati alla vivisezione la cui chiusura portò al divieto di allevare cani per la sperimentazione in Italia. Da allora l’attivista-investigatore si è dedicato a tempo pieno alla denuncia dei traffici di animali.
A suo carico sono state avviate nel corso degli anni diverse inchieste, tra cui quella per associazione a delinquere condotta dalla Procura di Nocera Inferiore che contestava anche i reati di estorsione, violenza privata, appropriazione indebita, truffa e calunnia (tuttora in fase di indagini preliminari). Secondo gli inquirenti, insieme ad alcuni attivisti dell’associazione di cui faceva parte all’epoca, l’Eital, avrebbe inventato o aggravato le segnalazioni a carico di vari allevatori per ottenere l’affidamento giudiziario di animali da compagnia (soprattutto cani) e rivenderli a terzi, dietro all’apparente corresponsione di libere offerte all’associazione.
Proprio nell’ambito delle attività delegate dalla Procura campana era stata effettuata la perquisizione del marzo 2016 che avrebbe portato al rinvenimento dei distintivi e contrassegni di polizia. Una serie di oggetti di cui l’imputato ha rivendicato il possesso, collegato al periodo in cui esercitava l’attività di guardia zoofila: “Non esisteva all’epoca e non esiste a tutt’oggi l’obbligo di restituire i contrassegni, a meno che non vengano utilizzati per commettere reati” ha spiegato al momento dell’esame in aula, rispondendo alle domande del procuratore e dell’avvocato Fabio Gravagnuolo. Il materiale, ha aggiunto, “è sempre rimasto nella mia disponibilità ma ovviamente non è mai stato utilizzato quando ho dismesso il mandato”.
La giustificazione ha convinto anche il pubblico ministero Alessandro Bombardiere, che al termine dell’istruttoria ha chiesto l’assoluzione. Alle conclusioni si è associato il difensore, rilevando l’insussistenza di obblighi di restituzione specifici. Il giudice Marco Toscano, accogliendo le richieste, ha mandato assolto l’imputato perché il fatto non costituisce reato.
In un diverso procedimento davanti al tribunale di Cuneo, tuttora in corso, Colonna deve rispondere di un presunto
‘furto’ di pagina Facebook in seguito alla querela sporta dai vertici dell’Eital (‘Ente italiano tutela animali e lupo’), l’associazione che lui stesso aveva fondato nel 2012 e dalla quale era poi stato espulso.