Che tra i due tassisti non ci fosse nessuna simpatia, per dirla con un eufemismo, lo ha ammesso davanti al giudice lo stesso L.B., chiamato a rispondere di violenza privata e minaccia: “Va in giro quando è fuori servizio, più di una volta l’ho visto caricare clienti con l’auto di sua moglie” aveva detto riferendosi al suo collega.
Quest’ultimo l’ha denunciato per una serie di fatti risalenti all’ottobre del 2018: l’episodio più grave è il
tentato speronamento che sarebbe avvenuto in corso Kennedy, proprio nelle vicinanze della Questura. Nel corso dell’istruttoria anche la passeggera che si trovava a bordo del mezzo aveva confermato la ricostruzione:
“Ho preso il taxi davanti alla stazione ferroviaria, a circa duecento metri dalla Questura il mio autista ha sterzato in maniera brusca per evitare un altro taxi che arrivava dal lato opposto di corso Kennedy e aveva invaso la nostra corsia”. In altre due occasioni, invece, L.B. si sarebbe avvicinato al suo antagonista intimidendolo con gesti e frasi di minaccia.
Per l’imputato, un 56enne residente a Frabosa Sottana, il pm Alessandro Borgotallo aveva chiesto la condanna a undici mesi, citando come prova decisiva la testimonianza della donna trasportata sull’altro taxi: “Il fatto è grave perché abbiamo a che fare con dei professionisti: non si può tollerare da parte di chi ha una licenza pubblica simili condotte sconsiderate”. Quanto all’astio tra i due, nulla è emerso dalle deposizioni degli altri tassisti, ma “la sensazione è che qualcosa sotto ci fosse”.
Per la difesa di L.G. l’avvocato Roberta Rabbia ha ricordato come lui stesso avesse chiesto al Comune di poter visionare il tracciato del suo veicolo, registrato dal gps, e dimostrare così che quel giorno non aveva mai incrociato il collega in corso Kennedy. Gli era stato però risposto che i percorsi erano già stati cancellati. Dubbi sono stati formulati anche riguardo alla validità della testimonianza della cliente: “Ha fatto subito il nome di L.B. suggeritole dal suo autista, ma in aula non lo ha riconosciuto”.
Il giudice Mauro Mazzi ha riconosciuto la colpevolezza dell’imputato, condannandolo a cinque mesi di reclusione con pena sospesa.