Una lucrosa associazione a delinquere che sfruttava la sofferenza di tanti piccoli animali per il profitto degli allevatori. Questo, secondo le ipotesi della Procura, è il genere di traffico che il quarantenne cuneese C.B. avrebbe messo in piedi con l’aiuto di un italiano residente in Ungheria, D.M., e di S.B., una veterinaria buschese.
A stroncare il
commercio illecito di cuccioli di cane provenienti dall’Est Europa era stato nel 2018 il Nucleo Investigativo di Polizia Ambientale e Forestale (N.I.P.A.F.) del Comando Gruppo Carabinieri Forestale di Cuneo, coordinato dall’allora procuratore capo Francesca Nanni. Con l’operazione ‘Nero Wolf’ i Forestali erano giunti all’identificazione di ben 187 esemplari acquistati nell’allevamento ungherese gestito da D.M., un goriziano residente a Pécs e già coinvolto in indagini analoghe. I militari ritengono che l’uomo fosse in contatto con “pseudo fornitori” da vari Paesi europei tra cui Grecia, Spagna e Polonia. Dall’Ungheria le bestiole venivano nascoste nei bagagliai delle auto per affrontare lunghi ed estenuanti viaggi, privi delle documentazioni di accompagnamento e dei trattamenti sanitari e vaccinali prescritti dalle norme comunitarie e nazionali. Una volta giunti a Cuneo, C.B. si sarebbe incaricato di “italianizzarli” fornendo falsi libretti sanitari e inoculando microchip identificativi alterati con la compiacenza di S.B., veterinaria di Busca, che avrebbe fornito la documentazione e gli accrediti necessari.
In un diverso procedimento la veterinaria ha già definito la propria posizione con un patteggiamento. A processo sono rimasti D.M. e C.B., accusati entrambi di traffico e trasporto illecito di animali da compagnia. Per il solo C.B., già sottoposto al divieto di dimora per un anno in fase di indagini preliminari, si aggiungono le imputazioni di autoriciclaggio, frode in commercio ed esercizio abusivo della professione medico-veterinaria. Nell’udienza odierna, due componenti del gruppo Carabinieri Forestali hanno ricostruito la genesi dell’inchiesta ‘Nero Wolf’: tutto era partito con le segnalazioni di tre diversi acquirenti, che lamentavano le cattive condizioni di salute dei cuccioli di Cavalier King.
I successivi accertamenti avevano permesso di scoprire che tutti gli esemplari venivano registrati all’anagrafe canina come nati presso le abitazioni dei loro acquirenti: in nessuna delle schede identificative si menzionava l’allevamento, gestito da C.B. nel comune di Cuneo e intestato a suo suocero. A rafforzare i sospetti degli inquirenti contribuiva il fatto che l’allevatore avesse fornito una partita Iva inesistente. Acquisendo i tabulati telefonici di C.B., i Forestali erano giunti al suo contatto ungherese e avevano ricostruito altre cinque consegne di cuccioli ad altrettanti clienti ignari della loro vera provenienza. Sebbene gli esemplari di diverse razze (cavalier king, bulldog francesi, chow chow, maltesi) fossero presentati come provenienti dall’allevamento cuneese, infatti, gli esami genetici avrebbero permesso in seguito di accertare che quasi nessuno dei cuccioli aveva rapporti di familiarità con i cani adulti presenti. Nella perquisizione condotta presso l’abitazione di C.B. erano state rinvenute attrezzature veterinarie (siringhe, medicinali e microchip) e un passaporto canino ungherese poi risultato falso, mentre nello studio veterinario di S.B., la dottoressa che aveva posizionato i microchip e validato la documentazione, erano emerse 187 schede di identificazione già compilate.
Secondo i carabinieri, gli animali sarebbero stati sistematicamente sottratti alle cure parentali in tenerissima età, ovvero al di sotto delle 12 settimane previste dai regolamenti. Accadeva così che i cuccioli, già debilitati dai trasferimenti, si ammalassero o addirittura morissero. Una parte significativa dell’inchiesta, riguardante un diverso traffico diretto dall’Ungheria verso il centro Italia, era stata ricondotta alla competenza della Procura di Bologna. Una sessantina di cuccioli, sequestrati prima di essere commercializzati, erano stati affidati dall’autorità giudiziaria alla Lida che si è occupata di portare a termine le adozioni. La stessa Lida si è costituita parte civile nel processo contro C.B. e D.M. insieme ad altre due associazioni animaliste, Nogez e Anpana.
Il processo è stato aggiornato al 15 febbraio 2021 per ascoltare altri testi dell’accusa.