Un fatto “di assoluta gravità”, tenuto conto che “quel ragazzo sarebbe potuto restare lì tutta la notte, se non si fossero svegliati i residenti allertati dal trambusto”: così il pubblico ministero Alessandro Borgotallo ha descritto l’aggressione per la quale F.B., pregiudicato per rapina e droga, è finito di nuovo davanti al giudice.
Teatro dell’accaduto il marciapiede davanti ai giardini Fresia di Cuneo, dove nel giugno di due anni fa l’imputato, un giovane di origini africane residente a Peveragno, si trovava insieme alla sua fidanzata e a un altro ragazzo, un maghrebino domiciliato a Cuneo. Quest’ultimo, dopo un litigio, era stato riempito di botte fino a rimanere tramortito sul selciato. I poliziotti l’avevano trovato nel cuore della notte, intento a lavarsi le ferite a una fontanella: aveva un trauma cranico e un profondo taglio al naso. Agli inquirenti la vittima ha raccontato di essere rimasto pestato e derubato da un coetaneo che conosceva bene e insieme alla quale aveva trascorso tutta la serata. Il giovane aveva incontrato per caso F.B. e la sua fidanzata in piazza Boves: “Abbiamo fatto due giri di birre, poi siccome dovevo tornare a casa e loro erano di strada gli ho chiesto un passaggio in auto”.
A far precipitare le cose, stando al racconto della persona offesa, sarebbe stata una lite per futili motivi tra il suo amico e la fidanzata: “Scesi dall’auto hanno iniziato a litigare, lui le ha tirato due schiaffi e l’ha presa per i capelli. Io ho cercato di dividerli e lui mi ha preso a pugni sul naso e sulla fronte”. Da quel punto il giovane afferma di non ricordare nulla, fino al momento in cui si era risvegliato, stordito, di fronte ai giardini. Insieme al marsupio erano spariti due telefoni, venti euro in contanti, il permesso di soggiorno e una carta Postepay. Il derubato sarebbe rimasto otto giorni in ospedale per poi formulare denuncia contro il presunto aggressore, finito a processo per rapina e lesioni. Agli atti figura la restituzione del marsupio alla Polizia Locale di Peveragno, effettuata dallo stesso F.B.: “Non siamo ladri, lo riconsegniamo” avrebbe detto in una telefonata alla sorella della vittima. All’atto della riconsegna, tuttavia, mancavano i soldi e il permesso di soggiorno.
Per il procuratore questa ulteriore conferma dell’ipotesi accusatoria non dev’essere letto come un gesto di resipiscenza: “Si è reso conto lui stesso di averla fatta grossa e sapeva che il cerchio si stava stringendo. Ai vigili nemmeno ha raccontato la verità, inventandosi una storia visionaria su una presunta rissa”. “Ascoltando le modalità dell’aggressione ho pensato che questo fatto poteva davvero avere effetti più gravi” ha aggiunto il rappresentante dell’accusa, chiedendo una condanna a due anni e sei mesi e ulteriori sei mesi di lavori di pubblica utilità. Il patrono di parte civile, avvocato Antonio Tripodi, ha parlato di “un’aggressione caratterizzata da non comune ferocia: una reazione spropositata provocata dal tentativo della parte civile di difendere una ragazza”. A parere della difesa, rappresentata dall’avvocato Serena Mariano, non c’erano invece elementi di conferma al di là di quanto riferito dalla persona offesa: “Ha fornito una versione dei fatti confusa. Chi ha chiamato l’ambulanza afferma di non aver percepito nessuna aggressione”.
Il giudice Elisabetta Meinardi, riqualificando il reato di rapina in furto aggravato come richiesto dal pm, ha condannato F.B. a due anni di carcere e 400euro di multa. Alla parte civile va un risarcimento di 10mila euro.