Dai conti postali e bancari uscivano migliaia di euro ogni mese, tutti in contanti. Soldi che servivano per le spese correnti di un anziano vedovo e della sua badante, ma anche per acquisti di telefonini di ultima generazione, regali alla donna e corse in taxi dall’abitazione di lei a Mondovì fino a Cuneo.
L’anziano era diventato un bancomat, accusa la famiglia, in particolare uno dei due figli che si è poi costituito parte civile nel processo per circonvenzione d’incapace contro la ex collaboratrice domestica, una donna di nazionalità marocchina. La Procura contestava la “sparizione” di oltre 90mila euro nei due anni in cui lei aveva lavorato in quella casa, facendo il bello e il cattivo tempo, secondo i parenti di lui. “Mio suocero prima di allora conduceva una vita del tutto morigerata, neanche un regalo a Natale se non alla nipotina” ricorda la nuora. Il figlio maggiore non accettava la situazione e aveva finito per rompere i ponti con il genitore. L’altro aveva preferito adeguarsi: “La questione era salvare i conti o salvare la relazione con mio papà, ho preferito salvaguardare questa” ha poi raccontato al giudice. “Era innamorato, diceva di voler vendere l’alloggio, così l’avrebbe sposata e sarebbero andati a vivere insieme in Marocco” ha riferito un commerciante che conosceva da tempo l’anziano e la badante, sua connazionale.
Poco prima di morire, però, era stato lui stesso a denunciarla. Nel frattempo i rapporti con la donna si erano già interrotti e la famiglia aveva avviato la procedura per l’amministrazione di sostegno, dopo la segnalazione ricevuta dalla direttrice della filiale bancaria di fiducia: “Vostro padre spende troppi soldi”. Circostanze ben precise e specifiche, secondo il pubblico ministero Anna Maria Clemente: “Il tenore di vita dell’uomo non giustificava prelievi con scadenze così ravvicinate e per importi elevati, raramente al di sotto dei 1500 euro”. Di particolare interesse, per la Procura, i movimenti di denaro verso il Marocco attraverso un’agenzia di money transfer: “Trasferimenti effettuati non solo da lui, ma anche dalla stessa imputata”. Per l’accusata era stata chiesta quattro anni di reclusione e 1200 euro di multa.
“Si è approfittata della situazione di questo individuo anziano e solo e ne ha fatto quello che ha voluto, allontanandolo dai familiari” ha sostenuto il legale di parte civile. L’avvocato Cinzia Mureddu aveva chiesto un risarcimento di almeno 95mila euro, tanti quanti sarebbero gli ammanchi accertati. Alla badante si contestava anche una grave negligenza nel suo lavoro: “Quando l’ha seguito non gli somministrava i medicinali. Ha creato danni alla famiglia allontanandosi nel periodo in cui lui doveva affrontare un’operazione: quando poi è subentrata un’altra badante, lei ha preteso che se ne andasse”.
Mere supposizioni, ribatte l’avvocato Micaela Dadone per la difesa: “Non esiste in atti una prova che sia l’imputata a essersi fatta consegnare le somme oggetto di contestazione”. Dal computo, aggiunge il difensore, non sarebbero state detratte le spese correnti: “Abbiamo circa 12mila euro l’anno solo di spese per la badante e alimenti, è il figlio stesso a farci sapere che sovente suo padre acquistava i pasti in gastronomia”. Il flusso di denaro non si sarebbe arrestato nemmeno nei periodi, talvolta mesi interi, in cui la donna non si trovava in Italia: frutto di “un’abitudine a utilizzare il contante in maniera smodata”, secondo il legale, e talvolta ad occultarlo e dimenticarsene. Dopo la morte dell’anziano, ha detto il figlio minore, furono ritrovati 20mila euro in banconote, nascosti in una cassetta nella cantina.
Per il giudice Sandro Cavallo la circonvenzione è comunque dimostrata. Perciò l’imputata è stata condannata alla pena di tre anni di reclusione e mille euro di multa, con un risarcimento all’unica parte civile costituita quantificato in 30mila euro.