Non c’erano minacce esplicite, telefonate compulsive, pedinamenti o altri elementi che di norma connotano il reato di atti persecutori, ovvero il cosiddetto stalking. C’era però un’abitudine a presentarsi in auto sotto casa della sua ex convivente, abitudine che il giudice ha ritenuto sufficiente per una pronuncia di condanna, tenuto conto dello stato di paura generato nella donna e in sua figlia.
L’imputato, Alfonso Amante, è un caragliese già arrestato nel 2014 e condannato per tentato omicidio a carico della stessa persona che l’ha denunciato lo scorso anno. In quell’occasione i carabinieri riuscirono a disarmarlo appena prima che si avventasse con un piccone contro la compagna: in primo grado il tribunale lo aveva condannato a dieci anni e sei mesi di carcere, poi ridotti a cinque in appello ma con la conferma dell’imputazione. Una volta scontata la pena, nel 2020, la donna lo aveva rivisto in un bar di Cuneo a poca distanza dalla propria abitazione: “Gli ho chiesto cosa ci facesse qui, lui non ha risposto e se n’è andato. Da quel momento, però, vedevo sempre la sua auto parcheggiata a breve distanza da casa mia”. Troppi incontri, secondo lei, per ritenerli casuali: “All’inizio prendeva il caffè una o due volte alla settimana al bar, poi se ne andava. Questi passaggi piano piano sono aumentati, sembrava volesse attirare la mia attenzione o quella della bambina: nel periodo di scuola passava sovente nell’orario in cui lei rincasava”.
La querelante ha spiegato di aver visto sovente il suo ex compagno sotto casa, ma di non essere riuscita a capire cosa dicesse: “Perlopiù faceva versi o urlava per attirare la mia attenzione. Spesso metteva musica in auto o faceva finta di parlare al telefono ad alta voce”. Alla presenza dell’uomo lei ricollega anche diversi danneggiamenti subiti sulla sua auto nel periodo successivo: righe, tagli, deformazioni compatibili con pugni. I familiari della donna hanno confermato anche di aver visto l’accusato passare in macchina, in un paio di occasioni, di fronte all’abitazione del padre della sua ex in valle Gesso.
L’accusa ha ritenuto credibile la versione della persona offesa perché, ha spiegato il sostituto procuratore Alessia Rosati, “voleva soltanto che Amante stesse lontana da lei e solo quando i passaggi assidui sono diventati per lei insopportabili si è decisa a presentare querela, spinta dalla necessità di tutelare l’incolumità personale sua e della figlia”. Gli episodi, ha aggiunto, “si sono consumati nel luogo in cui la persona offesa avrebbe dovuto sentirsi più sicura, la sua casa, e per un arco di tempo esteso: addirittura durante il lockdown”. “L’imputato non ha il benché minimo senso di rispetto per la persona offesa e nemmeno per la figlia, nonostante il carcere” ha affermato il legale di parte civile, l’avvocato Pino Giostra, chiedendo il mantenimento delle misure cautelari e un risarcimento: “Voleva minacciare due donne indifese, sapendo oltretutto che il padre della persona offesa abitava altrove: un gesto vile”. Per la difesa, rappresentata dall’avvocato Carla Montarolo, un inevitabile condizionamento sulla percezione della donna viene dai fatti precedenti: “Il suo stato psicologico non ha riscontro se non nelle sue parole e lo si può ritenere giustificato. Ma l’imputato non si è mai trattenuto a lungo sotto casa sua o in un altro luogo frequentato dalla ex convivente e dalla figlia. I luoghi dove ha ripreso a recarsi dopo la detenzione erano quelli che già frequentava”.
Il giudice Sandro Cavallo ha condannato l’imputato a due anni di reclusione e diecimila euro di risarcimento, confermando la misura degli arresti domiciliari già in vigore fino a giugno del prossimo anno.