Era stato il figlio ad assumersi la piena responsabilità del ritrovamento, in un alloggio nel centro storico di Cuneo, di un trolley contenente due chili e mezzo di metanfetamine. Gli inquirenti però ritenevano che anche suo padre, un 57enne incensurato, fosse consapevole e partecipe dell’attività di spaccio. Per questo Abdellatif Rebei, tunisino da tempo in Italia, si è trovato a rispondere in tribunale di un’accusa analoga a quella per cui il figlio Hatem è stato condannato in primo grado a quattro anni. Il giudice Giovanni Mocci tuttavia ha ritenuto che Rebei padre non fosse coinvolto nelle azioni illegali del figlio, oggi 22enne e già gravato da svariati precedenti penali. L’imputato è stato quindi assolto per non aver commesso il fatto.
Il maxi sequestro, il più ingente mai effettuato in provincia di Cuneo per quanto riguarda le droghe sintetiche, era stato effettuato nell’agosto 2019 in un’abitazione di via Santa Maria. L’alloggio era riconducibile ad Abdellatif, ma vi risiedevano anche i due figli. In uno sgabuzzino gli agenti della Squadra Mobile avevano trovato la valigia con 5027 pasticche di ecstasy, suddivise in cinque sacchetti di plastica con le scritte “yes” e “bro”. Le pastiglie riportavano vari colori e disegni impressi (tra questi un teschio, un diamante, due frecce stilizzate) per distinguerle a seconda degli effetti.
Il giovane Rebei ha affermato, anche durante il processo contro suo padre, di esserne venuto in possesso per caso e senza nemmeno sapere cosa ci fosse in quel trolley: “La valigia era custodita poco distante dalla stazione a Torino, appartiene a un ragazzo di colore: lo avevo visto lasciarla sotto una scala in un giardino al Valentino, dopo che il ragazzo è andato via l’ho recuperata. Il giorno dopo l’ho portata a casa e dentro ho trovato i soldi e la droga”. Il ragazzo ha sostenuto di aver preso solo le banconote, 400 euro in tutto, lasciando in valigia l’ecstasy: “Vivo di furti ma non ho mai spacciato, se avessi saputo che c’era droga non l’avrei presa”. In seguito sarebbe partito per la Tunisia, sempre senza informare suo padre.
L’assunzione integrale di responsabilità non ha mai convinto il sostituto procuratore Alberto Braghin, a fronte di una serie di elementi indiziari che il pm ha riepilogato, prima di chiedere la condanna dell’imputato a sei anni di carcere e 30mila euro di multa. In primo luogo l’atteggiamento dell’imputato durante la perquisizione: quando i poliziotti si erano concentrati sullo sgabuzzino, Rebei senior si sarebbe irrigidito chiedendo l’intervento di un avvocato. Dalle successive intercettazioni telefoniche, ha aggiunto il procuratore, era emerso un quadro differente rispetto a quello raccontato dal figlio: “Conversando con un’assistente sociale, ammette che il trolley era stato dato a lui perché lo consegnasse a suo figlio. Era lui dunque ad averlo portato in casa”. In un’altra telefonata, sempre il padre invitava l’interlocutore a chiamarlo su un altro telefono e parlava dell’impossibilità di recuperare un certo quantitativo di denaro. Soldi che, sostengono gli investigatori, rappresentavano il corrispettivo per il carico di pastiglie partito dalla Germania e destinato ad essere trasportato in Tunisia.
La difesa, rappresentata dall’avvocato Valentina Papetti, ha parlato della sussistenza di “elementi indiziari” che tuttavia non sono sufficienti per una condanna: “Certamente l’imputato discute con parenti e conoscenti della vicenda e si parla molto spesso del figlio, in Italia da poco tempo e che da quando è qui si è macchiato di una serie di attività illecite”. Non è comunque dimostrato, a detta del legale, che Abdellatif Rebei fosse a conoscenza del contenuto del trolley: “Soprattutto non si può individuare una rete di collegamento. Non viene contattato da nessun cliente, durante la perquisizione non abbiamo il rinvenimento di bilancini, di materiale per il confezionamento o di soldi in contanti”.