Non gli è bastato liberarsi della cocaina con una mossa furtiva, alla vista di una gazzella della polizia che si stava avvicinando. Perché per sua sfortuna altri agenti, in borghese, lo stavano già osservando: S.P., cuneese pregiudicato per spaccio, è stato condannato a nove mesi di carcere e 1500 euro di multa.
Il giudice Alberto Boetti non ha creduto alla giustificazione che l’imputato ha fornito, riguardo al possesso di droga - sei involucri, contenuti in un sacchetto - e di mille euro in contanti, trovati nel marsupio che portava con sé. “Erano di mio fratello maggiore, che la sera prima aveva lasciato il portafoglio a casa. Avrebbe dovuto pagare l’avvocato due giorni dopo” ha spiegato l’accusato, precisando che il fratello, in quel periodo, si trovava agli arresti domiciliari.
La ricostruzione dei fatti, risalenti al settembre 2021, è stata resa in aula dall’assistente Andrea Chialva della Squadra Mobile: insieme a un collega, il poliziotto era stato inviato in piazza Europa poco prima a indagare su un presunto tentativo di estorsione. Qui i due agenti, in borghese, avevano individuato S.P. e un altro soggetto, direttisi dopo alcuni minuti verso i giardini don Stoppa, nelle vicinanze dell’Inps. “S.P. è entrato nei giardini e ha prelevato qualcosa da terra, mentre l’altro rimaneva sulla via, forse facendo da palo” ha ricordato l’assistente. Il movimento era stato segnalato al dirigente che aveva disposto l’invio di una volante: “Noi ci siamo portati con l’auto in via Bertolino. Durante il controllo dei colleghi in divisa, S.P. ha lanciato un involucro oltre la volante, senza essere notato”.
“Ho gettato il sacchetto perché avevo paura” ha ammesso l’accusato, ribadendo però che la droga era per uso personale: “L’avevo acquistata da un africano in corso Giolitti, mezzora prima. Poi l’ho lasciata nel giardino, perché dovevo incontrare il mio amico”. Un altro gesto dettato dal timore dei controlli, a suo dire. Il pubblico ministero Gianluigi Datta aveva chiesto una condanna a un anno di reclusione. “Avrebbe potuto non disfarsi della sostanza, perché la perquisizione non era scontata. Ha agito ingenuamente, come un bambino, perché ha avuto paura” ha osservato l’avvocato Alessandra Bruno, perorando la tesi dell’uso personale: “La quantità di sostanza è superiore all’uso personale, ma ha dichiarato che aveva fatto una ‘scorta’. Era un assuntore di sostanze e non aveva con sé strumenti che facessero pensare allo spaccio”.