Per due volte rifiutò di esibire i documenti alle forze dell’ordine, per giunta nel periodo in cui tutta l’Italia era in “zona rossa” nella primavera del 2020. Nondimeno, secondo il tribunale, l’infrazione a lui contestata era di entità troppo lieve per giustificare una condanna penale.
Per questo motivo nei confronti di D.M., residente a Vinadio, è stata pronunciata dal giudice Anna Gilli una sentenza di non doversi procedere in virtù della particolare tenuità del fatto. Al giovane di origini albanesi era contestata la violazione del testo unico sull’immigrazione, in base al quale lo straniero che non ottempera all’obbligo di esibire il permesso di soggiorno o un documento che ne attesti la regolare presenza sul territorio è punito con l’arresto fino a un anno e l’ammenda fino a duemila euro.
Secondo i carabinieri di Vinadio, ai quali D.M. è ben conosciuto, l’imputato avrebbe un’interpretazione del diritto molto peculiare: “Sopporta poco le regole e in più occasioni ha detto che ‘non gliene può fregare di meno’ delle leggi italiane e dell’Italia. Non ritenendosi italiano non si sente in dovere di rispettarle” ha spiegato il maresciallo capo Pablo Damian Perlo. La prima violazione era stata contestata proprio il primo giorno del lockdown, il 12 marzo: in occasione di un controllo al Forte albertino, il giovane era stato trovato in compagnia di altre persone, anch’esse con precedenti di polizia. “Oltre ad essere fuori casa al di fuori dell’orario consentito - ha precisato il maresciallo - non aveva i documenti e ci aveva insultati. Non avevamo comunque voluto denunciarlo per oltraggio”.
Il 13 aprile sarebbe stato di nuovo individuato in orario serale nei pressi del Forte. In quell’occasione, alla vista della pattuglia era scappato ed era poi stato fermato. Interpellato dai militari, aveva tenuto lo stesso atteggiamento e ribadito di aver smarrito i documenti. Il comandante dei carabinieri ha spiegato di essersi prodigato, nel tempo, per aiutare il ragazzo a inserirsi socialmente: “Non lavorava, abbiamo cercato più volte di ‘sistemarlo’ nonostante il padre non lo volesse in casa, perché a conoscenza del suo stile di vita”. Oltre ai precedenti di polizia, D.M. risulta avere una condanna definitiva per furto e danneggiamento.
Il pubblico ministero Gianluigi Datta aveva chiesto per l’imputato la condanna a un mese e dieci giorni di arresto, più mille euro di ammenda. Il difensore, avvocato Antonio Vetrone, ha insistito sul fatto che si trattasse comunque di una persona conosciuta alle forze dell’ordine del paese, che dunque non necessitava di essere riconosciuta: “La carta di soggiorno era regolare e non sono stati fatti accertamenti riguardo all’eventuale smarrimento del documento”.