A sette anni dal crollo - l’anniversario è caduto il 18 aprile scorso - ci sarà una verità giudiziaria, almeno in primo grado, sul disastro del viadotto “La Reale” di Fossano. Con l’udienza odierna si è chiusa l’istruttoria, almeno per quanto riguarda i testi: rimane la possibilità di presentare produzioni documentali fino al 1 luglio, quando si passerà alla discussione. Il primo a parlare sarà come sempre il pubblico ministero, seguito dalle parti civili costituite: Anas, Provincia di Cuneo e avvocatura dello Stato.
In due successive udienze, l’8 e il 15 luglio, si prevede di ascoltare le arringhe dei difensori dei dodici imputati di disastro colposo: sono sei funzionari dell’Anas e sei dirigenti e tecnici delle imprese, quelle che realizzarono il ponte negli anni Novanta e quella che nel 2006 effettuò i lavori di manutenzione. Tra gli ultimi testimoni è sfilato in aula l’ingegner Danilo Bruna, dirigente del settore Viabilità della Provincia di Cuneo e responsabile della manutenzione ordinaria delle strade provinciali. Bruna ha confermato le stime che il perito Dario Alberto aveva presentato, parlando di
oltre un milione di euro di spese aggiuntive per l’ente Provincia.
“Ma è un importo ‘in fieri’” precisa il dirigente, perché la Statale 231 non è ancora riaperta del tutto al traffico pesante. Il 31 maggio, come annunciato dal presidente dell’Anas Edoardo Valente, la bretella riaprirà al passaggio di camion e tir nel tratto compreso tra Boschetti e Villafalletto. Resta però un ultimo tratto, in corrispondenza di un quinto viadotto, dove il rifacimento degli impalcati non è ancora concluso. Nel frattempo la Provincia ha speso una cifra che Bruna quantifica tra i 600 e i 700mila euro, quindi più dei 400mila di cui aveva parlato l’ingegner Alberto nella sua perizia di parte. Soldi che l’amministrazione, attingendo alle sue magre finanze, ha dovuto sborsare dal 2017 per far fronte all’aumentata usura dell’asfalto, in corrispondenza soprattutto della SP 165 nel tratto Fossano-Marene e della SP 309 tra Tetti Paglieri e l’abitato di Cervere: “C’è stata la necessità di procedere a riasfaltature in tempi dimezzati, su 7-10 anni anziché su 15-20 anni” spiega l’ingegnere.
Qualcuno pagherà per questo, a parte Pantalone? Al giudice l’ardua sentenza. Le difese nel corso del processo si sono rimpallate le responsabilità: i costruttori, in particolare, imputano all’Anas di non aver effettuato i dovuti controlli. I funzionari dell’ente stradale rispondono che non esistevano nemmeno le possibilità per farlo. “L’Anas non prevedeva assistenti di cantiere, cioè personale che presenziasse continuamente ai lavori” ha spiegato l’ingegner Angelo Adamo, uno degli imputati, che all’epoca era direttore dei lavori: senza potere di spesa, sottolinea. Il geometra Mario Villani, suo subalterno durante i lavori, conferma la “fortissima carenza di personale a tutti i livelli” di cui già allora soffriva l’Anas. Possibile che il direttore dei lavori non potesse richiedere la presenza di assistenti di cantiere? “Chiedere è lecito, rispondere è cortesia: non aveva certamente autonomia economica, per incrementare il personale, né il direttore dei lavori né l’ingegnere capo”.
Per la Procura la causa primaria del crollo è il cattivo svolgimento delle operazioni di iniezione della boiacca, la miscela che avrebbe dovuto proteggere i cavi di precompressione. Nel tratto crollato i cavi erano pressoché scoperti: non si tratta di una speculazione, perché il costo di quel materiale era irrisorio. Sta di fatto che qualcuno non lavorò “a regola d’arte” e qualcun altro non se ne accorse.