FOSSANO - Crollo del viadotto di Fossano, la versione dell’ispettore: “Anas non chiese di segnalare le macchie”

Parlano gli imputati nel processo per il disastro del 2017: “I controlli? Erano facili, Itinera era una grande impresa” sostiene il direttore dei lavori

Andrea Cascioli 23/04/2024 19:40

Le infiorescenze sul ponte? Nessuno aveva chiesto di segnalarle. A dirlo è Dario Cristian Ciminelli, ispettore dell’Anas, uno dei dodici imputati di disastro colposo per il crollo del viadotto “La Reale”, avvenuto il 18 aprile del 2017 lungo la tangenziale di Fossano: “Gli ordini - ha spiegato in aula, presentando dichiarazioni spontanee - erano di segnalare lesioni, crepe, distacchi di calcestruzzo, ferri a vista: tutte cose che sul ponte di Fossano non c’erano, il calcestruzzo era integro. Nessuno aveva mai detto di segnalare le macchie di umidità”.
 
C’è di più. All’epoca dei lavori di manutenzione, nel 2006, gli ispettori non avevano nemmeno idea di come fosse stato realizzato il manufatto: “Che il ponte fosse costituito da tre parti separate, unite da cavi, noi l’abbiamo scoperto in udienza. Per quanto ne sapevamo, quella era una struttura unica poggiata su due pilastri”. L’ingegner Giulio Accili, direttore del centro manutentorio Anas di Cuneo, coordinò quell’anno la sostituzione dei giunti del viadotto: “Per quanto mi riguarda, un lavoro perfetto. Posso complimentarmi con me stesso e con i dipendenti. I giunti sono ancora in opera dopo 17 anni, al contrario dei precedenti, sostituiti dopo soli sette anni”. Nemmeno i responsabili dei lavori di costruzione si rimproverano nulla. L’ingegner Angelo Adamo, nei primi anni Novanta, era caposezione dell’Anas e direttore dei lavori: in sostanza il “controllore” in capo. “Il controllo di queste opere era facile” afferma, dal momento che il costruttore era Itinera: “Era considerata una delle prime imprese d’Europa: aveva potenza finanziaria, un personale preparatissimo, e le opere previste erano tutte fuori terra”.
 
Peccato che qualcosa sia andato storto lo stesso. In particolare l’iniezione della boiacca, la miscela di cemento e calce che avrebbe dovuto avvolgere i cavi di precompressione: nella parte crollata, invece, i cavi erano pressoché scoperti. “La verifica - spiega Adamo - consisteva nel vedere che l’iniezione fosse realizzata come dettato dalla circolare, a una determinata pressione. E soprattutto che dal tubo di sfiato dalla parte opposta uscisse la boiacca. Molto probabilmente si sono create bolle d’aria e punti in cui la boiacca non è passata, pertanto il tubo non si è riempito: nella letteratura tecnica se ne parlava, ma si aveva anche la certezza che i cavi dovevano essere protetti dall’acqua”. Altro punto debole, visto che l’impermeabilizzazione fece cilecca: “Il ponte - ricorda il geometra Roger Rossi, dipendente di una delle società costruttrici - era intriso di acqua. Si vedeva il percorso del cavo, quando in tutti gli altri impalcati, tuttora presenti, non si vede una macchia di umidità”. Per conto della Ingegner Franco spa, l’azienda che fornì i conci prefabbricati, Rossi sovrintendeva alle diverse operazioni, compresa l’iniezione della boiacca: “Veniva fatta dalle nostra maestranze in maniera tale che dall’altra parte del tubo fuoriuscisse la boiacca e senza che vi fossero bolle: una volta che la boiacca era uscita, il tubo di sfiato veniva strozzato e richiuso, anche dalla parte in cui era stato iniettato. Il fatto che la boiacca uscisse dall’altra parte - aggiunge - per noi era sintomo della perfetta iniezione del cavo”.
 
Già, e le famose macchie? Mai rilevato nulla, risponde Adamo. Forse una maggior presenza sul cantiere avrebbe aiutato: “Ma l’Anas non prevedeva assistenti di cantiere, cioè personale che presenziasse continuamente ai lavori. Solo chi aveva potere di spesa avrebbe potuto farlo, non io”.
 
Il 14 maggio il processo proseguirà con l’audizione dei testimoni di difesa.

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