Si è chiuso con la condanna a un anno e otto mesi per una coppia di allevatori di cani fossanesi, M.U. e M.F., e un veterinario buschese, P.P., il processo per un giro di animali venduti in “nero” con falsi libretti sanitari allegati.
Tutto era nato dalla perquisizione presso lo studio di una veterinaria a San Chiaffredo di Busca, nell’ambito della più vasta operazione “Nero Wolf” coordinata dai carabinieri forestali, nel 2018. I militari cercavano tra le carte della dottoressa, S.B., le prove di un traffico internazionale di cani importati dall’Ungheria. I cuccioli venivano trasportati in condizioni inumane e poi “italianizzati” grazie alla veterinaria, che forniva ai trafficanti falsi libretti sanitari e microchip. Nel corso della perquisizione, altri faldoni avevano attirato l’attenzione degli inquirenti. Riguardavano un allevamento gestito da una coppia, M.U. e M.F.: oltre alla sede presso la loro abitazione, in Roata Capelli di Fossano, i due avevano una struttura analoga a Busca. Quando i veterinari vi avevano fatto accesso, insieme alle forze dell’ordine, avevano trovato decine di cani in parte registrati a nome dei due allevatori, in parte intestati a persone terze o non registrati affatto.
Pastori tedeschi, pincher, barboni, cocker spaniel. Una quantità di razze diverse commercializzate in un allevamento che pure, in teoria, aveva autorizzazioni più “ristrette”: “Esiste a monte un dubbio notevole sul fatto che M.U. e M.F. fossero i reali proprietari dei cani da cui venivano generati i cuccioli venduti” ha osservato il sostituto procuratore Carla Longo. A seguito degli interrogatori dei vari acquirenti, la Procura ha formulato accuse di falso e favoreggiamento nei confronti di due veterinari, S.B. e P.P., che a partire dal 2017 avrebbe “sostituito” la collega nel rapporto con i due allevatori fossanesi.
La loro posizione, sosteneva l’accusa, era la più grave, poiché “il veterinario che installa il microchip e compila la scheda di identificazione compie un atto necessario all’iscrizione dell’anagrafe canina e questo certifica anche la provenienza certa del cucciolo”. Provenienza che nei casi esaminati, al contrario, era quantomeno dubbia. I cuccioli venivano pubblicizzati su piattaforme come Subito.it, con i recapiti telefonici degli allevatori: i prezzi si aggiravano intorno ai cinquecento euro. False tutte le schede acquisite, ha sottolineato il pm, e significativo il ritrovamento, in casa della coppia fossanese, “dei libretti in bianco, con timbro e firma del veterinario, che dovevano essere solo nella disponibilità di questi ma evidentemente venivano utilizzati dagli allevatori”. Oltre a questo, i due avevano in casa alcuni vaccini, circostanza che ha portato all’ulteriore imputazione di esercizio abusivo della professione veterinaria. “Se la procedura non è stata rispettata ciò è ascrivibile alla condotta scellerata degli allevatori” ha affermato l’avvocato Fabrizio Di Vito, difensore dei due veterinari, osservando comunque che “la vaccinazione non è obbligatoria, se non in casi speciali. Lo è solo il microchip”. “Non c’è prova che i vaccini siano stati somministrati ai cani dagli allevatori” ha detto a sua volta l’avvocato Enrico Gallo, legale degli allevatori.
Nei confronti degli imputati è caduta l’ipotesi più grave di associazione a delinquere, come già aveva richiesto la Procura all’esito dell’istruttoria, al pari di altre accuse. Per il solo capo d’imputazione di falso sono stati condannati, con pena sospesa, i due allevatori e il veterinario: le accuse nei confronti di S.B. erano prescritte.